Lyme in Sardegna: un rischio silente

Uno studio dell’Università di Sassari segnala una potenziale circolazione silente della malattia di Lyme in Sardegna.

La ricerca, pubblicata su Healthcare, accende l’attenzione sulla circolazione della Borrelia, il batterio responsabile della malattia e conferma la presenza del principale vettore, la zecca Ixodes ricinus, anche in territorio sardo.

Per i ricercatori, l’assenza di un sistema di sorveglianza strutturato rende difficile valutare il rischio reale di infezione. L’unica indagine siero-epidemiologica precedente, condotta nei primi anni ’90 su adolescenti del nord Sardegna, aveva già indicato una sieroprevalenza del 6,1%, suggerendo una possibile esposizione storicamente sottostimata.

I risultati della ricerca

Lo studio ha analizzato la presenza di anticorpi anti-Borrelia in campioni di siero raccolti tra il 2006 e il 2014 da pazienti ospedalizzati per sospetta malattia reumatica, conservati presso la banca del siero dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Sassari.

Dai 58 campioni esaminati, 9 (15,5%) sono risultati positivi ai test specifici. Un dato che, pur su un campione circoscritto, suggerisce una “endemicità silenziosa” della malattia di Lyme in Sardegna e la necessità di rivalutare l’attuale percezione del rischio.

Sottodiagnosi e appello alla sorveglianza

Oltre ai risultati sierologici, anche un recente caso di neuroborreliosi in un paziente sardo settantenne senza storia di viaggi conferma che l’infezione potrebbe essere sotto-riconosciuta e sotto-segnalata nell’isola.

La Sardegna presenta infatti caratteristiche ecologiche favorevoli al mantenimento di un ciclo endemico di Borrelia: estese aree forestali, elevata densità di fauna serbatoio e una forte presenza di lavoratori impiegati nei settori forestale e agricolo. A questo si aggiungono i cambiamenti climatici – inverni più miti e umidi – che favoriscono l’aumento dell’attività delle zecche e il prolungamento del periodo di rischio.

La prospettiva One Health

I risultati evidenziano l’urgenza di potenziare la sorveglianza epidemiologica della malattia di Lyme in Sardegna, adottando un approccio integrato One Health. La regione infatti ha le caratteristiche di potenziale “hotspot emergente” per il Mediterraneo e rappresenta un contesto ideale per sperimentare sistemi di monitoraggio che uniscono:

  • indagini entomologiche sui vettori
  • monitoraggio clinico dei casi
  • studi siero-epidemiologici di popolazione.

Gli autori dello studio suggeriscono anche la creazione di un database regionale centralizzato che raccolga punture di zecca, diagnosi confermate e risultati sierologici per migliorare il rilevamento precoce dei casi di Lyme e la risposta sanitaria.

I lavoratori più a rischio

Lo studio evidenzia come alcuni gruppi professionali siano maggiormente esposti ai morsi di zecca e quindi al possibile contagio: lavoratori forestali, agricoltori, operatori del monitoraggio ambientale e personale impiegato nella gestione della fauna selvatica.

Per questi lavoratori è fondamentale aumentare la percezione del rischio e promuovere misure di prevenzione adeguate, poiché la malattia di Lyme è ancora poco conosciuta in Sardegna e spesso non immediatamente considerata nel percorso diagnostico.

L’importanza dello studio

Le regioni insulari italiane restano ad oggi poco esplorate dal punto di vista epidemiologico per la malattia di Lyme, soprattutto a causa della mancanza di una raccolta sistematica dei dati.

In questo scenario, lo studio dell’Università di Sassari contribuisce a:

  • affinare le conoscenze sull’epidemiologia della Borrelia
  • delineare strategie di sorveglianza più efficaci e mirate
  • riaprire il dibattito sui limiti geografici della Lyme in Europa.

Conferma inoltre che anche gli ecosistemi mediterranei insulari possono supportare la circolazione del patogeno, ribaltando la percezione della Sardegna come area marginale per le malattie trasmesse da zecche.

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