I ricercatori dell’università di Bristol (Regno Unito) hanno dimostrato che le comuni zecche dei boschi (Ixodes ricinus) sono in grado di compiere brevi voli, sfruttando la “carica elettrostatica accumulata da uomini e animali mentre camminano nell’erba”.

I risultati degli esperimenti sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Current biology e rivelano come le zecche possono utilizzare l’elettricità statica per agganciare i loro ospiti anche a distanza.

Le dimostrazioni

In un breve video gli scienziati mostrano una zecca mentre compie un balzo rapidissimo di alcuni centimetri per agganciarsi al materiale caricato elettricamente e, in un altro, documentano come vengono attratte da una zampa di coniglio.

Tali prove confermano la capacità delle zecche di sfruttare i campi elettrici, generati dagli animali nell’ambiente circostante, per agganciare le loro vittime a distanza, pur non potendo né di saltare né di volare.

In pratica dimostrano che le zecche agiscono passivamente, utilizzando le cariche elettrostatiche per attraversare spazi d’aria di diversi millimetri o centimetri e raggiungere così le loro vittime.

Una doverosa precisazione

Il team inglese ha realizzato i test in laboratorio. Non vi è quindi assoluta certezza che le zecche si comportino allo stesso modo anche in un ambiente naturale.

Le prove sperimentali hanno tuttavia accertato che:

Anche se non vi sono certezze assolute …

La scoperta dell’università di Bristol è rilevante e indica maggiori possibilità di subire un morso di zecca.

Di riflesso segnala maggiori rischi per la salute e invita a controllarsi sempre dopo una gita in montagna, in un bosco o in mezzo al verde.

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Fonte immagine: www.pexels.com

«La disinformazione sulla malattia di Lyme circola frequentemente in Internet e può competere, o addirittura oscurare, le linee guida scientifiche sulla prevenzione delle malattie trasmesse dalle zecche». Lo afferma un’indagine realizzata dalle università americane del Connecticut e del Rhode Island, comparsa il 26 luglio sulla rivista scientifica JMIR Formative Research.

Riflette i risultati di un sondaggio online che ha coinvolto 1190 persone.

Come si informano gli utenti di Internet

Le interviste hanno rivelato che la stragrande maggioranza (83%):

– si documenta sulla malattia di Lyme consultando i siti Internet degli enti sanitari, delle società scientifiche e delle istituzioni accademiche

– ritiene tali fonti attendibili ed ha fiducia nelle opinioni espresse da: autorità sanitarie nazionali, agenzie governative e medici che seguono le linee guida internazionali

– considera le informazioni acquisite una forte motivazione per proteggersi dal morso di zecca.

Il ruolo dei Social

Circa un quarto degli intervistati afferma tuttavia di consultare, oltre ai siti istituzionali, anche i propri contatti social e i gruppi online soprattutto per sapere:

– quanto tempo impiega una zecca per trasmettere la malattia di Lyme (59,5%)

– cosa pensano le comunità del web sull’uso di antibiotici a scopo preventivo, dopo un morso di zecca (65,4%)

– se i repellenti a base di DEET (dietiltoluamide) sono sicuri nei bambini (51,1%).

Al riguardo oltre il 50% dichiara di avere dubbi o perplessità sulle indicazioni contenute nei siti istituzionali.

Il messaggio

Per i ricercatori l’ampio utilizzo dei social network quale fonte di informazione e la fiducia dichiarata negli esperti “convenzionali” dovrebbe suggerire alle istituzioni sanitarie e scientifiche ed agli stessi esperti di usare le piattaforme social per dialogare e interagire direttamente con i cittadini.

La creazione di nuovi spazi di comunicazione social potrebbe avere tre vantaggi importanti:

– favorire pratiche corrette di prevenzione

– contribuire alla diffusione di notizie e indicazioni basate su conoscenze mediche e prove scientifiche

– arginare la circolazione di fake news in grado di influenzare le persone.

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La pubblicazione delle news farà una breve pausa e ritornerà online il 28 agosto.

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Buon Ferragosto!

Primo caso confermato di West Nile (o Febbre del Nilo occidentale) in un donatore di sangue residente in provincia di Parma. Lo rivela l’ultimo bollettino emesso dall’Istituto superiore di sanità, che riporta la situazione aggiornata al 12 luglio.

Salgono intanto a 14 le province dove è accertata la circolazione del virus in zanzare e animali sentinella. Sono: Catania, Varese, Ravenna, Cagliari, Oristano, Vercelli, Piacenza, Bologna, Ferrara, Parma, Pavia, Rimini, Modena e Mantova.

Il confronto con il 2022

Nonostante la precoce circolazione del West Nile virus (WNV) a inizio stagione la situazione è fortunatamente molto diversa rispetto al boom di focolai dello scorso anno.

Nel 2022 i casi di malattia accertati in Italia sono stati ben 588, 37 dei quali mortali.

La maggior parte (295 casi) si è manifestata come forma neuro-invasiva, con sintomi molto simili a quelli dell’encefalite da zecche.

West Nile e Tbe

Febbre del Nilo (trasmessa dalle zanzare) e Tbe (trasmessa dalle zecche) sono due malattie che esordiscono con sintomi poco specifici e tra loro sovrapponibili, spesso rappresentati da febbre e malessere generale.

Entrambe le malattie condividono inoltre l’andamento stagionale (da primavera a inizio autunno) e possono causare problemi di salute anche gravi.

Secondo un recente studio realizzato in Slovacchia la loro presentazione nella stessa area geografica può costituire una impegnativa sfida diagnostica, con possibilità che alcuni casi di “West Nile siano diagnosticati come infezioni da Tbe virus”.

Zanzare, zecche e clima

Oltre a determinare eventi estremi, i cambiamenti climatici influiscono anche sulla distribuzione di zecche e zanzare, rendendo diversi ambienti idonei al loro insediamento, con conseguente diffusione di agenti infettivi responsabili di seri problemi di salute pubblica.

Il riscaldamento globale inoltre prolunga l’attività stagionale di entrambe, con il risultato di estendere i periodi di co-circolazione di virus e batteri.

Monitoraggio e prevenzione

Ministero della salute, regioni e istituti zooprofilattici sperimentali hanno attivato una proficua collaborazione per monitorare l’andamento delle zoonosi (malattie trasmesse dagli animali all’uomo) e dei loro vettori (zanzare, zecche, pappataci).

Resta tuttavia fondamentale il comportamento delle singole persone, chiamate ad assumere ogni utile comportamento per evitare morsi e punture infettanti.

L’invito alla prevenzione è quanto mai attuale nei territori colpiti dai recenti disastri meteo perché umidità e rialzo delle temperature nelle regioni del Nord e nelle zone della Pianura Padana favoriscono una straordinaria proliferazione di zecche e zanzare, aumentando il rischio di malattie.

L’esempio di Trento

Caldo e umidità hanno indotto nei giorni scorsi la Fondazione Mach di San Michele all’Adige (TN) a intensificare il monitoraggio della zanzara tigre, coreana e giapponese e della zanzara comune, mettendo sotto la lente anche la diffusione delle zecche nei boschi del Trentino.

Lo scopo è aggiornare le mappe relative alla loro distribuzione, sorvegliare la circolazione degli agenti infettivi e individuare precocemente i rischi per la salute.

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D’estate aumenta il consumo di repellenti per prevenire i morsi di zecca. Ne esistono diversi e in diverse formulazioni (lozioni, roll-on, spray, salviette, braccialetti, ecc.), molti sono chimici, ma non mancano quelli a base naturale. Possiamo usarli in sicurezza?

Un rapporto pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) aiuta a fare il punto sui prodotti in commercio e sui loro principi attivi, dando indicazioni utili su impiego ed effetti protettivi.

Zanzare e zecche, una differenza sostanziale

Anche se spesso equiparati, i repellenti anti-zanzara e ani-zecca hanno in realtà funzioni diverse.

Le zanzare compiono la ricerca attiva dell’ospite da pungere. Scopo dei repellenti è impedire loro di localizzare e posarsi sull’ignara “vittima”.

Nel caso delle zecche invece è l’ospite che si reca negli ambienti infestati. Scopo dei repellenti non è quella di impedire le aggressioni (che si realizzano con un aggancio puramente meccanico, sfiorando le zecche), ma di ostacolare il loro ancoraggio sull’ospite.

La prevenzione dei morsi di zecca è quindi più complessa e per avere una protezione elevata il repellente da solo non basta.

Un mix di misure

Contro le zecche funziona la combinazione di più metodi, tra loro complementari, che uniscono:

 

Prevenzione comportamentale

ovvero tutte le misure utili a rendere difficile il contatto con le zecche (es. non sostare nell’erba alta, non sedersi per terra; al rientro da un’escursione ispezionare il corpo controllando l’eventuale presenza di zecche sulla pelle)

 

Prevenzione meccanica

con l’impiego di abiti e calzature adatte a fare da barriera protettiva (es. indumenti che coprono quanto più possibile il corpo, scarpe chiuse o stivali)

 

Prevenzione chimica

usando prodotti specifici per le parti scoperte insieme ad altri idonei a essere utilizzati su scarpe, vestiti e attrezzatura (questo ultimi sono spesso a base di Permetrina, un prodotto che non ha proprietà repellenti, ma acaricide).

Quali sono i repellenti sicuri?

Il consiglio è di utilizzare i prodotti registrati come Presidi Medico Chirurgici (PMC) presso il Ministero della Salute o come Biocidi secondo il regolamento (UE) n. 528/2012.

Si tratta di prodotti preventivamente testati e ritenuti dal Ministero della salute in grado di non provocare effetti nocivi se usati seguendo scrupolosamente le indicazioni riportate in etichetta.

Quali sono i prodotti efficaci?

I repellenti di comprovata efficacia sono quelli contenenti i seguenti principi attivi:

– Dietiltoluamide (DEET),

– Icaridina (KBR 3023),

– Paramatandiolo (PMD o Citrodiol).

E i repellenti a base di estratti vegetali?

Buona regola è controllare l’etichetta anche dei repellenti a base di estratti vegetali verificando che siano registrati come PMC o Biocida.

Con quale frequenza deve essere riapplicato il repellente?

La durata dell’efficacia dipende dalla concentrazione del principio attivo: più è alta la percentuale di principio attivo, più duratura è la protezione.

Efficacia e durata dell’azione protettiva dipendono anche da altri fattori, come la temperatura ambientale e la sudorazione.

Nei bambini e in gravidanza si possono usare?

In generale l’uso dei repellenti è ammesso sia nei bambini di età superiore ai 2 anni, sia nelle donne in gravidanza, con tre avvertenze generali:

– verificare sempre quanto scritto in etichetta

– limitare le applicazioni alle sole situazioni di necessità

– in caso di dubbi o incertezze sentire preventivamente il parere del medico di fiducia.

Le precauzioni da adottare sempre

Quando si utilizza un prodotto repellente vanno comunque rispettate alcune precauzioni:

– utilizzare i repellenti solo quando effettivamente necessari e comunque per brevi periodi

– applicarli solo sulla pelle esposta e/o sull’abbigliamento (secondo le indicazioni riportate sul prodotto) e non sulla pelle sotto i vestiti

– non usarli mai su tagli, ferite o pelle irritata

– non applicarli su occhi o bocca

– utilizzarli con parsimonia intorno alle orecchie

– non applicarli sul palmo delle mani dei bambini per evitare il contatto accidentale con occhi e bocca

– quando la protezione non è più necessaria lavare la pelle trattata con acqua e sapone

– in caso di reazioni avverse (arrossamenti o altri sintomi) sospendere l’applicazione, togliere il repellente con acqua e sapone neutro e consultare un medico, mostrando possibilmente il prodotto usato.

Funzionano gli ultrasuoni?

Al riguardo l’Istituto Superiore di Sanità riporta “fino ad oggi sono stati posti in commercio diversi dispositivi calibrati per emettere lunghezze d’onda repulsive, ma al momento nessuno di questi apparecchi riesce a garantire un’effettiva protezione”.

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Fonte immagine:https://salute.regione.veneto.it/

La Gran Bretagna ha emesso un’allerta sanitaria per la febbre emorragica di Crimea-Congo (Crimea-Congo Haemorrhagic Fever – CCHF), segnalando un possibile aumento dei casi non solo nel Regno Unito, ma anche in Spagna, Italia, Francia e nel resto d’Europa.

La notizia pubblicata nei giorni scorsi dal quotidiano dal Daily Mirror mette in guardia contro la temuta malattia, la cui diffusione è considerata “la più grande minaccia attuale per la salute pubblica”.

Nessun un allarme imminente, ma un rischio concreto

Secondo l’università di Cambridge il virus responsabile della febbre emorragica di Crimea-Congo è probabilmente entrato nel Regno Unito attraverso zecche infette trasportate da animali.

La circolazione del virus unita alle segnalazioni di contagi e decessi avvenuti negli ultimi giorni in diversi Paesi (tra cui Iraq, Namibia, Pakistan) ha portato la Commissione per la scienza, l’innovazione e la tecnologia del Parlamento inglese a ritenere “molto probabili” nuovi casi in Gran Bretagna. Da qui l’avviso diramato dalle autorità per preparare i medici e le persone a una nuova, eventuale emergenza sanitaria.

Un’infezione grave

La Febbre emorragica di Crimea- Congo è una malattia virale grave, trasmessa dal morso di una zecca infetta (soprattutto del genere Hyalomma).

È altamente contagiosa e può diffondersi:

– per contatto con una persona malata,

– maneggiando tessuti, sangue e liquidi biologici di animali infetti.

Può causare severe complicazioni a livello epatico, renale e polmonare ed ha un alto tasso di mortalità (dal 5 al 30%).

Il ruolo del riscaldamento globale

La presenza della Febbre emorragica di Crimea- Congo è nota nei Balcani, in Africa, in Asia e in Medio Oriente (soprattutto in Turchia, diventata uno dei principali epicentri della malattia nel mondo, con una media di 1000 casi l’anno).

Per gli scienziati la sua diffusione in Europa è collegata ai cambiamenti climatici: con l’aumento delle temperature e le estati più lunghe e secche le zecche portatrici del virus si starebbero spostando verso il continente europeo, trovando un habitat adatto al loro insediamento.

La teoria sembra confermata dalla situazione in Spagna che, ad agosto 2022, aveva registrato 13 casi, con 4 decessi.

La situazione europea

Anche se al momento non vi sono segnalazioni di casi di malattia, zecche infette dal CCHF-virus sono state trovate in Olanda nel 2007, in Germania nel 2016 e in Svezia nel 2018.

In Italia, il virus è stato individuato nel 2017 in una zecca Hyalomma isolata da un uccello sull’isola di Ventotene.

Come difendersi

La principale linea di difesa contro la febbre emorragica di Crimea-Congo resta la prevenzione, evitando i morsi di zecca.

Quanti lavorano nei macelli devono inoltre usare abbigliamento protettivo per limitare il contatto con i fluidi di animali potenzialmente infetti.

La consapevolezza sulla possibile comparsa dell’infezione è essenziale per fronteggiare una seria minaccia alla salute pubblica.

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L’ospedale Sacro Cuore di Gesù – Fatebenefratelli di Benevento ha individuato il primo caso di malattia di Lyme nel Sannio. La diagnosi riguarda una bambina di quattro anni e mezzo residente a Guardia Sanframondi, centro vitivinicolo dell’appennino campano.

Finora la malattia era segnalata solo sporadicamente in Campania e nella quasi totalità dei casi risultava contratta fuori regione o all’estero.

I sintomi che hanno portato alla diagnosi

Circa 20 giorni prima del ricovero alla piccola era stata asportata una zecca e prescritta una terapia antibiotica di 7 giorni.

Sul volto della bambina era successivamente comparso un eritema migrante (trattato inizialmente con cortisone), a cui erano seguiti altri sintomi:

– difficoltà a camminare

– forti dolori agli arti, alla schiena e all’addome.

Ricoverata all’ospedale Fatebenefratelli i pediatri hanno sospettato la malattia di Lyme alla luce del racconto anamnestico (asportazione della zecca) e dei dati clinici (eritema migrante), poi confermati dalle analisi di laboratorio.

Perché il caso ha fatto scalpore

«Fino ad oggi – ha spiegato il direttore della Pediatria-Neonatologie di Benevento- abbiamo pensato che la malattia di Lyme colpisse solo alcune regioni italiane, cioè il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Veneto, l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige».

La recente diagnosi ha portato invece a prendere atto che l’infezione non ha confini geografici e può essere contratta anche in territori, come quelli del Sannio, sinora ritenuti esenti.

L’appello

Dall’ospedale di Benevento è quindi partito l’invito a «prevenire la malattia di Lyme con misure volte a evitare i morsi di zecca quando si va nei boschi o in campagna».

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Il Trentino registra un deciso aumento di infezioni causate dal morso di zecca. I dati dall’Azienda sanitaria riportano 28 casi di malattia di Lyme e 40 casi di encefalite da zecca (Tbe) accertati nei primi sei mesi del 2023.

I numeri reali potrebbero tuttavia essere superiori poiché le due malattie sono in grado di presentarsi con sintomi clinici sfumati e non essere notificate alle autorità sanitarie, o con sintomi aspecifici ed essere scambiate con altro.

Lyme, infetta una zecca su 5

Secondo la Fondazione Mach di San Michele all’Adige (TN) nei boschi trentini c’è un’alta percentuale di zecche infette da Borrelia, il battere responsabile della malattia di Lyme.

Si parla di una zecca su 5 e indica un rischio elevato di contagio.

Tbe in espansione

Nel caso della Tbe, invece, la percentuale di zecche infette scende a circa l’1%, ma la circolazione del virus è in costante aumento.

La probabilità di essere infettati è più bassa rispetto alla malattia di Lyme ma le aree in cui il virus circola sono sempre più numerose e l’intera provincia di Trento può considerarsi a rischio.

Le cifre ufficiali

Dal 2000 al 2020 il Trentino ha rilevato 372 casi di malattia di Lyme, con una media di 17 casi all’anno.

Negli ultimi cinque anni, la media annuale è salita a 41 casi e i 28 casi già registrati nei primi 6 mesi del 2023 lasciano ipotizzare un trend in ulteriore crescita.

Sempre dal 2000 al 2020 i casi di Tbe (encefalite da zecca) sono stati 204, con una media annuale di 9,7 casi.

Negli ultimi cinque anni, tuttavia, la media annuale è più che raddoppiata: 23,2 casi, diventati 32 nel 2020 e 40 nel primo semestre del 2023.

La prevenzione

Oltre a raccomandare a cittadini e turisti l’adozione di adeguate misure preventive le autorità provinciali consigliano la vaccinazione anti-Tbe a quanti frequentano assiduamente i boschi o svolgono attività lavorative all’aperto.

Nel 2022 l’azienda sanitaria di Trento ha somministrato 51mila dosi di vaccino (gratuito per i residenti) e l’anno precedente 15mila. Attualmente risulta coperta l’1,5% della popolazione pediatrica (fino ai 15 anni compiuti) e l’1% di quella adulta.

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fonte immagine: www.ladige.it

L’Istituto Superiore di Sanità ha recentemente diffuso i dati sull’andamento dell’encefalite da zecca (Tbe) nel 2022. Le cifre mostrano l’endemicità della malattia nelle regioni del Nord-Est (Veneto, provincia autonoma di Trento, Friuli Venezia Giulia), con segnalazioni sporadiche in Liguria, Emilia-Romagna e Lazio. Confermano inoltre i picchi di presentazione dei sintomi nei mesi di giugno e luglio.

Cosa rivelano i dati

Il report indica 72 casiaccertati di Tbe neuro-invasiva, caratterizzati cioè da un severo coinvolgimento del sistema nervoso centrale (meningite e/o encefalite) e segnala per la prima volta 2 decessi.

Il dato si riferisce al 20-30% dei casi reali di malattia, poiché esclude le infezioni:

– a guarigione spontanea (circa il 30%)

– con decorso moderato (febbre e sintomi simil-influenzali).

Un trend critico

Il confronto tra il 2022 e il triennio precedente (2019-2021) mostra questo andamento dell’encefalite da zecca nel nostro Paese:

2019: 24 casi di Tbe neuro-invasiva e nessun decesso

2020: 21 casi di Tbe neuro-invasiva e nessun decesso

2021: 18 casi di Tbe neuro-invasiva e nessun decesso

2022: 72 casi di Tbe neuro-invasiva e 2 decessi.

Mentre dal 2019 al 2021 l’infezione è una lenta ma progressiva diminuzione, nel 2022 compie un netto balzo in avanti e in un solo anno totalizza il 13% in più di tutti i casi accertati nel triennio precedente (63 casi).

La malattia inoltre si rivela potenzialmente grave e ad esito mortale.

L’importanza della prevenzione

I dati spiegano l’appello alla vaccinazione diffuso dalle autorità sanitarie delle regioni più colpite.

Incoraggiano inoltre comportamenti di prudenza e di prevenzione personale durante passeggiate ed escursioni in aree boschive e naturali e, più in generale, quando si fanno attività all’aperto.

Come noto per la Tbe non esiste ancora una terapia specifica, ma sono possibili solo trattamenti di supporto.

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fonte immagine https://www.epicentro.iss.it/

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