Sono 1.260 casi in poco più di 10 anni, individuati soprattutto nelle regioni settentrionali (1.093 casi), con punte più elevate a Nord-Est (652 casi). È la “fotografia” sulla diffusione della malattia di Lyme in Italia ricostruita da uno studio pubblicato lo scorso 16 giugno dalla rivista internazionale Frontiers.
I dati si riferiscono alle diagnosi poste dal 1° gennaio 2010 al 30 agosto 2022 in otto centri italiani, situati in Friuli Venezia Giulia (Udine e Trieste), Liguria (Genova e La Spezia), Lombardia (Milano), Emilia-Romagna (Cesena) e Campania (Napoli e Caserta).
Il profilo geografico
L’analisi rivela che i 1.260 casi di malattia di Lyme indicati dall’indagine provengono:
– 1.093 dal Nord Italia (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria ed Emilia-Romagna)
– 96 dal Centro Italia (Abruzzo, Lazio, Marche, Toscana e Umbria)
– 71 dal Sud Italia (Puglia, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Sardegna e Sicilia).
Indicano la presenza della malattia di Lyme in tutte le regioni italiane, fatta eccezione per la Basilicata (0 casi), con frequenze più elevate lungo l’arco alpino e segnalazioni sporadiche nelle regioni centro-meridionali e nelle isole.
Le caratteristiche cliniche
Lo studio conferma l’eritema migrante come la manifestazione più comune della malattia di Lyme nel panorama nazionale. Lo individua nel 75% delle diagnosi (943 pazienti), rivelando quali siti ricorrenti della lesione:
– gli arti inferiori (54%) e il tronco (25%) negli adulti,
– il tronco (32%), la testa e il collo (30%) nei bambini.
Nel restante 25% (317 pazienti) la diagnosi si basa su esami di laboratorio sostenuti da altri sintomi suggestivi della malattia, frequentemente associati al coinvolgimento di:
– articolazioni (24%)
– sistema nervoso (21%)
– sistema muscolare (19%).
– pelle (5%)
– occhi (5%)
– cuore (4%).
Le differenze fra Nord, Centro e Sud
Lo studio rivela alcune peculiarità geografiche.
Se al Nord la maggior conoscenza dei sintomi caratteristici della malattia (in particolare dell’eritema migrante) favorisce le diagnosi precoci, nell’Italia centrale la minor consapevolezza della malattia determina “diagnosi sfuggenti” in un’alta percentuale di casi (85%), facilitando l’evolversi dell’infezione da una fase localizzata a una fase disseminata.
Al Sud la malattia si conferma rara: in un caso su 4 (24%) è contratta all’estero o in una regione diversa da quella di residenza.
Un’ampia sottostima
Lo studio concorda su un’ampia sottostima della malattia di Lyme nel territorio nazionale e sottolinea l’impossibilità di ottenere un quadro epidemiologico puntuale per carenza di segnalazioni alle autorità nazionali.
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L’improvvisa scomparsa in Brasile del pilota Douglas Costa e della fidanzata Mariana Giordano dopo un morso di zecca ha attirato l’attenzione su una malattia poco conosciuta in Europa e in Italia: la febbre maculosa delle Montagne rocciose (Rocky Mountain Spotted Fever – RMSF), un’infezione grave e molto diffusa negli Stati Uniti e nell’America centrale e meridionale.
A causarla è la Rickettsia rickettsii, un agente infettivo che si ritiene venga trasmesso molto rapidamente da esemplari di zecche infette, come:
– la zecca del cane (Dermacentor variabilis e Rhipicephalus sanguineus),
– la zecca del legno delle Montagne Rocciose (Dermacentor andersoni)
in grado di attaccare anche l’uomo.
Senza un tempestivo trattamento antibiotico l’infezione può rivelarsi mortale fino al 20-30% dei casi.
La situazione in Brasile
Secondo Il Mattino in Brasile si sono registrati, da inizio anno, 17 casi di febbre delle Montagne Rocciose e 8 decessi.
Nel 2022 i casi registrati sono stati 63 casi, con 44 decessi confermati e nel 2021 si sono contati 87 casi e 48 morti.
I sintomi
Le rickettsie si propagano all’interno delle cellule che costituiscono le pareti dei vasi sanguigni, danneggiandole e provocando dei coaguli all’interno dei vasi stessi con varie conseguenze negli organi interessati. La malattia si presenta con una triade di sintomi:
– febbre,
– forte mal di testa (cefalea), dolori muscolari,
– piccole eruzioni cutanee di colore rosso vivo (rash petecchiale o maculopapulare), spesso localizzate intorno ai polsi e alle caviglie, i palmi delle mani, le piante dei piedi e gli avambracci con rapida estensione al collo, al volto, alle ascelle, alle natiche e al tronco.
Tali manifestazioni possono accompagnarsi a sintomi gastrointestinali (nausea, vomito, dolori addominali) e alterazioni di varia gravità a carico:
– del sistema nervoso centrale
– del sistema respiratorio
– del sistema gastrointestinale
– del sistema renale
– del sistema circolatorio.
La malattia può inoltre provocare danni permanenti (amputazione di arti, dita delle mani o dei piedi per danni ai vasi sanguigni delle aree interessate; perdita dell’udito; paralisi; disabilità mentale).
Diagnosi e terapia
Sebbene siano disponibili numerosi test di laboratorio per la febbre maculata delle Montagne Rocciose, nessuno è sufficientemente rapido da consentire una diagnosi certa e tempestiva.
Poiché un trattamento antibiotico precoce è fondamentale per l’esito della malattia, il riconoscimento deve poggiare su basi cliniche e va sospettato ogni qual volta si presenti un paziente che vive o abbia frequentato un’area boschiva e presenti una febbre inspiegabile, cefalea e prostrazione, anche senza ricordare il morso di zecca.
La terapia antibiotica riduce notevolmente la mortalità e impedisce la maggior parte delle complicanze.
Prevenzione
Non esiste un vaccino efficace per prevenire la febbre delle Montagne Rocciose.
L’arma più valida resta pertanto evitare i morsi da zecca.
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Da oggi il sito www.morsodizecca.it ha una pagina Facebook.
Contiene notizie sui rischi legati alle punture di zecca, ospitando suggerimenti e consigli di prevenzione, insieme a info su:
– eventi,
– attività,
– studi, ricerche e progressi in campo medico e scientifico.
Seguirci è facile
Per consultare la pagina è sufficiente cliccare qui o andare al link Morso di zecca | Facebook.
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L’azienda sanitaria della provincia di Belluno (Ulss 1 – Dolomiti) punta l’attenzione sull’encefalite da zecche (Tbe) e raccomanda la vaccinazione a cittadini e turisti. Sono quattro i casi già registrati nel 2023, uno dei quali ha comportato il ricovero in ospedale.
Il vaccino è gratuito per i residenti e fino ad oggi ne sono state somministrate 85mila dosi, i due terzi di tutte quelle erogate in Veneto.
L’appello alla vaccinazione
La Tbe– sottolinea l’Ulss – è una malattia potenzialmente grave e di non facile diagnosi, per la quale non esistono farmaci specifici ma solo una terapia di supporto.
Può lasciare “sintomi anche a distanza di 6-12 mesi e nel 30% dei casi provoca danni tali da impedire il ritorno alla vita di prima, imponendo una riabilitazione importante”. Ha inoltre un tasso di mortalità dell’1-2%.
Da qui l’appello dell’azienda sanitaria a prevenirla con il vaccino, che può essere prenotato anche online collegandosi al sito: https://dolomiti.myprenota.it/vaccinazioni.
Le previsioni per l’inizio estate: un’impennata di casi
”Ci aspettiamo un aumento dei casi da qui alle prossime settimane” – ha dichiarato il commissario dell’Ulss Dolomiti – che lo scorso 7 giugno si è sottoposto alla vaccinazione, dando l’esempio in prima persona.
Una precauzione fortemente raccomandata “a tutti i cittadini e ai tanti turistiche arriveranno tra le montagne bellunesi durante l’estate”, per i quali è alto il rischio di subire una puntura infettante.
Il 29% dei casi nazionali di Tbe accertati nel quinquennio 2018-2022 deriva infatti da morsi di zecca avvenuti in provincia di Belluno.
Attenzione anche per la malattia di Lyme
Nel bellunese è in notevole aumento anche la malattia di Lyme, con oltre 700 casi trattati all’ospedale San Martino dal 2013 in poi.
Poiché non esiste un vaccino per prevenirla l’Ulss raccomanda grande attenzione durante le escursioni: le abbondanti piogge dei giorni scorsi e l’aumento delle temperature lasciano infatti prevedere un’ampia proliferazione di zecche.
Per evitare il loro morso l’azienda sanitaria indica 5 misure di prevenzione:
– vestirsi con abiti protettivi di colore chiaro
– restare sui sentieri durante le escursioni
– utilizzare repellenti
– controllare attentamente la pelle e gli indumenti a fine escursione
– rimuovere subito le eventuali zecche trovate sul corpo.
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Entro il 2026 potremmo avere un vaccino contro la malattia di Lyme collaudato in Europa. La previsione arriva dalla Svezia e scaturisce dai primi risultati della sperimentazione clinica condotta su 15 mila persone.
L’indagine è coordinata dalla Blekinge University of Technology e stando alle dichiarazioni rese dal capo progetto, Johan Sanmartin Berglund, i test sono iniziati un anno fa e mostrano esiti promettenti.
Cosa sappiamo
Dalle scarne notizie divulgate dall’università svedese a fine maggio si apprende che:
– la sperimentazione coinvolge la regione di Blekinge, nella Svezia meridionale, nota per l’alto numero di casi di malattia di Lyme
– i partecipanti hanno già ricevuto due dosi di vaccino e stanno per ricevere la terza dose
– fino ad ora non hanno riportato effetti collaterali significativi o disagi associati all’immunizzazione
– i risultati preliminari sono incoraggianti.
L’approccio “europeo”
“Sviluppare un farmaco mirato alla prevenzione della malattia di Lyme – sottolinea il team svedese – è molto complicato, perché i batteri responsabili della malattia esistono in diverse varianti”, che hanno tuttavia “una diffusione differenziata nelle diverse aree del mondo”.
In via preliminare i ricercatori hanno quindi mappato “i ceppi batterici riscontrati in Europa” al fine di ottenere un vaccino specifico per la popolazione europea.
L’obiettivo finale del gruppo svedese è tuttavia “un farmaco efficace in ogni parte del mondo”.
Un’opzione importante
C’è molta attenzione sullo studio condotto in Svezia poiché il nuovo vaccino potrebbe avere un ruolo considerevole nella lotta alla malattia, rappresentando un’opzione importante soprattutto per le persone più esposte alle punture di zecca.
La malattia di Lyme infatti non porta a sviluppare immunità e può essere contratta più volte nel corso della vita, un’eventualità tutt’altro che rara nelle zone altamente endemiche.
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La Polonia registra un preoccupante aumento di malattie trasmesse dalle zecche. Sono ben 2.753 i casi di borreliosi di Lyme e 47 i casi di Tbe (encefalite da zecche) accertati dal 1° gennaio al 15 aprile 2023.
I dati sono pubblicati da Outbreak News Today, la rivista online che diffonde le ultime notizie sulle malattie infettive nelle varie parti del mondo.
Un trend allarmante
Nello stesso periodo del 2022 i casi di malattia di Lyme rilevati in Polonia sono stati 1.423 e quelli di Tbe 14.
Il raffronto con quest’anno segnala una drastica espansione delle due infezioni, cresciute rispettivamente del 93% e del 236%.
I report precedenti
Una ricerca comparsa su Annales of Agricultural and Environmental Medicine nel 2021 dichiara tra il 2008 e il 2016 il raddoppio dei pazienti con malattia di Lyme in territorio polacco e segnala negli anni successivi un costante rialzo di casi.
Un’indagine più recente, pubblicata da Eurosorveglianza nel 2023, documenta 3.016 casi di Tbe nel periodo 2008 – 2020, la maggior parte dei quali diagnosticati nella Polonia nord-orientale, notoriamente endemica per l’encefalite da zecche.
L’avvio di una campagna di prevenzione
Per arginare l’espandersi delle due malattie soprattutto nella stagione estiva, la Polonia ha lanciato una intensa campagna di prevenzione finalizzata a:
– sensibilizzare la popolazione sui rischi collegati ai morsi di zecca
– informare sui comportamenti più efficaci per evitarli
– educare alla corretta rimozione dei parassiti
– diffondere l’importanza della vaccinazione preventiva per la Tbe.
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I ricercatori della John Hopkins University (Baltimora, Usa) hanno utilizzato tecnologie di intelligenza artificiale e di deep learning per mettere a punto un algoritmo in grado di valutare le immagini di eruzioni cutanee e individuare l’eritema migrante, la lesione tipica della malattia di Lyme iniziale.
“Sebbene l’eritema migrante sia presente in circa il 70-80% dei casi di malattia di Lyme – spiega John Aucott responsabile clinico del progetto – distinguerla non è così semplice. Può infatti assomigliare a molte altre eruzioni cutanee e punture di insetti benigne”. Questo porta a mancate diagnosi precoci, o a diagnosi errate, esponendo i pazienti a una serie di complicazioni, talvolta anche gravi.
Da qui l’idea di sviluppare uno strumento digitale per agevolare medici e pazienti nel riconoscimento precoce della lesione e favorire una diagnosi corretta e una pronta terapia.
L’impostazione del lavoro
Il team della Johns Hopkins University ha realizzato e testato diversi modelli di apprendimento profondo per rilevare l’eritema migrante rispetto ad altre lesioni della pelle e alla pelle normale.
I modelli sono stati addestrati a classificare, individuare e riconoscere l’eritema migrante su una combinazione di immagini disponibili online (scattate in diverse situazioni e in modo non sempre ottimale) e foto digitali (di alta qualità) provenienti dal centro ricerche e dalla biobanca dell’università.
All’interno di questi set i ricercatori hanno quindi introdotto “confusori”, ovvero immagini di lesioni della pelle simili all’eritema migrante ma causate da patologie diverse dalla malattia di Lyme.
I risultati
Sulle immagini di dominio pubblico il sistema ha dimostrato una precisione che va dal 71,58% nel distinguere gli eritemi migranti rispetto ad altre patologie della pelle, al 94,23% nel differenziare gli eritemi migranti dalla pelle normale.
Sulle immagini cliniche il sistema ha rivelato una capacità di classificare correttamente gli eritemi migranti nell’88,55% dei casi.
Gli sviluppi
Oltre a rendere più accurato il riconoscimento dell’eritema migrante i ricercatori sono ora impegnati a realizzare un App che possa favorire il pre-screening degli eritemi migranti e indurre i pazienti a riconoscere la malattia in fase iniziale, ricorrendo subito al medico per iniziare le cure.
L’obiettivo finale – ha dichiarato Aucott – è fare in modo che “i cellulari diventino il primo passo per aiutare le persone a ottenere una diagnosi precoce ed evitare le complicazioni più gravi della malattia di Lyme”.
Gli altri scenari di ricerca
Sulla diagnosi automatizzata dell’eritema migrante con modelli di intelligenza artificiale e apprendimento profondo stanno lavorando anche altri gruppi di ricerca.
Un team formato da scienziati di Arabia Saudita, India, Giordania e Irlanda ha pubblicato all’interno del forum Intelligenza computazionale e neuroscienze le potenzialità di un modello di apprendimento profondo in grado di distinguere i pazienti colpiti dalla malattia di Lyme o da altre infezioni (eruzione da farmaci, pitiriasi rosea e tigna) con elevati standard di accuratezza, sensibilità e specificità.
Uno staff francese, guidato dall’Università di Clermont-Ferrand, ha pubblicato su Computer Methods and Programs in Bomedicine le analisi condotte su 23 architetture di reti neurali orientate alla diagnosi della malattia di Lyme da immagini, generando risultati sperimentali per la creazione di applicazioni mobili nel riconoscimento dell’eritema nei suoi vari aspetti.
Gli obiettivi
Le ricerche sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale applicata alla malattia di Lyme hanno tre fondamentali obiettivi:
– favorire la diagnosi precoce,
– promuovere il corretto utilizzo degli antibiotici,
– sviluppare strumenti digitali per un’autovalutazione accurata della lesione iniziale, il cui trattamento porta alla guarigione completa nella maggioranza dei casi.
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fonte immagine https://www.hindawi.com/journals/cin/2022/2933015/#copyright
Diversi preparati a base di erbe sono “comunemente prescritti nel trattamento dei sintomi persistenti attribuiti alla malattia di Lyme”. L’assenza di dati sull’uso di tali composti vegetali “rende tuttavia difficile valutarne l’efficacia e la sicurezza”.
Ad affermarlo è una ricerca dell’Università del Maryland pubblicata lo scorso 22 marzo sul Journal of Integrative Medicine che ha analizzato 18 integratori naturali e ne ha valutato l’attività antimicrobica, il rapporto beneficio-rischio e l’interazione con altri farmaci.
I composti esaminati
Il gruppo di ricerca ha eseguito un’accurata analisi su 18 integratori a base di
– andrographis (Andrographis paniculate),
– astragalo (Astragalus propinquus),
– berberina,
– artiglio di gatto (Uncaria tomentosa),
– cordyceps (Cordyceps sinensis),
– cryptolepis (Cryptolepis sanguinolenta),
– zucchetto cinese (Scutellaria baicalensis),
– aglio (Allium sativum),
– nodo giapponese (Polygonum cuspidatum),
– funghi reishi (Ganoderma lucidum),
– salsapariglia (Smilax medica),
– ginseng siberiano (Eleutherococcus senticosus),
– assenzio dolce (Artemisia annua),
– radice di tè (Dipsacus fullonum),
– melissa (Melissa officinalis),
– olio di origano (Origanum vulgare),
– menta piperita (Mentha x piperita)
– timo (Thymus vulgaris).
La ricerca ha inoltre compreso alcuni protocolli sull’utilizzo dei preparati naturali, tra cui il protocollo del Dr. Rawls e il protocollo Buhner.
Gli effetti terapeutici
Nelle prove di laboratorio (test in vitro) 7 delle 18 erbe esaminate hanno evidenziato attività contro la Borrelia burgdorferi, il battere responsabile della malattia di Lyme.
Sono:
– artiglio di gatto,
– cryptolepis,
– zucchetto cinese,
– poligono giapponese,
– assenzio dolce,
– timo,
– olio di origano.
Ad eccezione dell’olio di origano, tutti e 7 i composti hanno dimostrato anche proprietà antinfiammatorie.
Gli effetti collaterali
I ricercatori hanno sottolineato la mancanza di dati su dosi e formulazioni degli integratori vegetali usati nel trattamento della malattia di Lyme e l’assenza di studi clinici sui pazienti.
Hanno quindi segnalato che “i medici dovrebbero essere cauti [nelle prescrizioni] poiché molti dei composti hanno interazioni farmacologiche ed effetti additivi che potrebbero portare a:
– aumento del rischio di sanguinamento
– ipotensione
– ipoglicemia”
di cui non è nota la portata.
Le indicazioni
Lo studio americano rileva che molte delle erbe usate in modo alternativo o integrativo hanno proprietà antinfiammatorie e possono contribuire alla percezione di un “miglioramento sintomatico da parte dei pazienti”.
Evidenzia che alcune erbe hanno dimostrato “un’attività anti-borrelia limitata in vitro [nei test di laboratorio], ma mancano dati in vivo [sui pazienti] e dati riferiti a studi clinici [misurazione degli effetti curativi e delle reazioni avverse negli utilizzatori]”.
Indica la necessità di ulteriori ricerche sull’efficacia, la sicurezza e l’uso appropriato di preparati a base di erbe per quanti sono colpiti dalla malattia di Lyme e soffrono di sintomi persistenti.
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Quanto è diffusa la malattia di Lyme in Europa? I dati ufficiali riportano circa 65.000-85.000 casi all’anno, ma nella realtà potrebbero essere più del doppio. La malattia risulta infatti ampiamente sottostimata, per la frequenza di casi non diagnosticati o non compresi nei sistemi di sorveglianza dei vari Paesi.
Lo sottolinea una ricerca, comparsa il 12 aprile su Vector-Borne and Zoonotic Diseases, che delinea la complessa situazione epidemiologica nel continente europeo.
Le aree dove si rischia di più
La ricerca indica Svizzera, Slovenia, Lituania ed Estonia come i paesi dove ogni anno si registra il maggior numero di nuovi casi di malattia di Lyme.
Segnala inoltre la presenza di aree altamente endemiche in stati europei dove la malattia ha una bassa incidenza e rimarca le lacune dei sistemi di sorveglianza nell’indicare i territori interessati.
Una situazione a macchia di leopardo
Nonostante la malattia di Lyme sia legalmente segnalabile in 22 stati europei non tutti hanno una sorveglianza nazionale.
Germania e Spagna, ad esempio, dispongono solo di una sorveglianza regionale limitata ad alcune realtà.
Altri paesi, come Francia, Belgio e Svizzera, hanno invece una un sistema di sorveglianza “sentinella” non obbligatoria.
Altri ancora, come i Paesi Bassi, affidano ai medici di base il compito di tenere un registro “delle consultazioni”, mentre Danimarca e Irlanda prevedono la registrazione dei soli casi di neuroborreliosi.
A loro volta Regno Unito e Slovacchia limitano le segnalazioni ai casi confermati da indagini di laboratorio, escludendo le diagnosi di eritema migrante effettuate da medici generici, rilevate invece da Germania, Slovenia, Finlandia, Ungheria e Repubblica ceca.
Infine, 8 paesi sono privi di un sistema “identificato” di sorveglianza sanitaria pubblica. Si tratta di: Austria, Cipro, Grecia, Italia, Liechtenstein, Malta, Svezia e Turchia.
Per contro Lituania e Romania hanno una solida sorveglianza nazionale.
La parziale disponibilità di dati
Una situazione fortemente eterogenea caratterizza anche la diffusione e la pubblicità dei dati.
Non tutti i paesi europei con un sistema di sorveglianza:
– pubblicano i rapporti con i casi rilevati
– hanno strumenti per divulgare le informazioni.
I database accessibili mancano inoltre di standardizzazione e ospitano indicazioni non omogenee tra loro (segnalazione di casi senza conferma di laboratorio, segnalazione solo di casi confermati in laboratorio, dati riferiti ai ricoveri, dati estratti da cartelle cliniche, ecc.), rendendo difficile la comparazione e l’assemblaggio dei dati disponibili.
Cosa rileva l’indagine
Dall’incrocio di un insieme poco omogeneo di informazioni, integrate da chiarimenti e spiegazioni acquisite presso varie Agenzie sanitarie pubbliche, l’indagine stima in 128.888 i casi di malattia di Lyme mediamente riscontrati ogni annonel continente europeo. Si tratta di un dato parziale perché riferito a soli paesi con un sistema pubblico di sorveglianza.
In proposito l’indagine sottolinea l’impossibilità di misurare con precisione la malattia di Lyme in Europa per la mancanza di un metodo coordinato e unico di rilevazione dei casi.
Avverte infine che negli ultimi 15 anni la malattia di Lyme è notevolmente aumentata nel perimetro europeo, diventando un crescente problema di salute pubblica e suggerisce la necessità di tenere alta la vigilanza per:
– rilevare precocemente nuovi focolai
– attuare opportune campagne di informazione e prevenzione.
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Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10122255/