Lyme: sovradiagnosi o sottodiagnosi?

Il confine sottile tra sottodiagnosi e sovradiagnosi nella malattia di Lyme

La malattia di Lyme è un’infezione complessa e insidiosa, che può manifestarsi con sintomi molto diversi e poco specifici. In presenza del caratteristico eritema migrante (la tipica lesione cutanea che si allarga dal sito del morso di zecca) la diagnosi precoce è relativamente semplice, ma quando manca o i sintomi sono generici (dolore ai muscoli e alle articolazioni, malessere generale, cefalea, inusuale stanchezza) il rischio di sottodiagnosi, aumenta, ritardando un trattamento efficace.

Sottodiagnosi della malattia di Lyme: rischi e cause

La sottodiagnosi si verifica soprattutto nelle prime fasi, quando manca l’eritema migrante (20-40% dei casi) e i test sierologici possono risultare negativi perché gli anticorpi non si sono ancora formati.

Sintomi generici di natura neurologica, reumatologica e cardiaca possono facilmente confondere i medici e portare a una diagnosi errata.

Un’accurata raccolta dell’anamnesi sulla possibile esposizione alle zecche (attività all’aperto, viaggi, punture di zecca) diventa essenziale per mantenere alto il sospetto clinico.

La sovradiagnosi: quando la diagnosi di Lyme si “allarga” troppo

L’aumento della consapevolezza della malattia può determinare, in alcuni casi, il rischio opposto: la sovradiagnosi, con errata attribuzione alla Lyme di sintomi in realtà causati da altre patologie.

Disturbi come stanchezza eccessiva, dolori diffusi e difficoltà cognitive possono derivare da diverse altre condizioni: fibromialgia, sindrome da fatica cronica, long-Covid o, come segnalato da un recente studio scientifico, infezioni del cavo orale.

La diagnosi non supportata da test affidabili può quindi portare a errori diagnostici e terapeutici ed esporre i pazienti a cicli prolungati e non necessari di cure antibiotiche.

La diagnosi basata sull’evidenza

La chiave per superare queste difficoltà richiede l’integrazione di:

  • una valutazione clinica rigorosa basata su sintomi e storia di esposizione alle zecche,
  • l’uso corretto dei test di laboratorio come supporto e non come unico criterio diagnostico, interpretando i risultati secondo lo stadio della malattia,
  • una diagnosi differenziale attenta per escludere altre patologie.

L’approccio integrato permette di ridurre gli errori diagnostici e fornire cure appropriate e tempestive.

La sindrome post-trattamento (PTLDS)

La PTLDS (Post-Treatment Lyme Disease Syndrome) rappresenta un capitolo a parte e riguarda un limitato numero di pazienti (circa 10-20%) che dopo la terapia antibiotica continua a manifestare dolore, affaticamento e difficoltà cognitive per mesi o anni.

La scarsa specificità dei disturbi, la loro intensità soggettiva, la circostanza che siano comuni ad altre malattie hanno contribuito a rendere la PTLDS una condizione medica controversa, purtroppo senza dare risposta ai pazienti che soffrono di sintomi reali e debilitanti.

Aiutare questi pazienti richiede un approccio medico basato su supporto clinico, monitoraggio e gestione mirata dei sintomi, evitando il ricorso a esami e terapie non validati.

La necessità di diagnosi accurate: il ruolo della ricerca e dei clinici

Riconoscere la malattia di Lyme in modo corretto e tempestivo coinvolge oggi sia i clinici sia la ricerca scientifica.

Quest’ultima è chiamata a intensificare l’impegno per lo sviluppo di test più affidabili, capaci di agevolare la diagnosi precoce e distinguere tra infezione attiva, passata o altre condizioni. Del pari, ai clinici è richiesta consapevolezza che la malattia di Lyme è in grado di imitare altre patologie e il suo riconoscimento deve basarsi su criteri rigorosi al fine di garantire a ogni paziente il trattamento giusto al momento giusto.

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