Il virus della temuta Febbre emorragica di Crimea Congo (CCHF-Crimean Congo Haemorrhagic Fever) si è introdotto in Italia, probabilmente con l’arrivo di zecche infette (soprattutto del genere Hyalomma) trasportate da uccelli migratori provenienti da aree dove la malattia è endemica.

A scoprirlo è un’indagine dell’Università di Bari, realizzata in collaborazione con gli Istituti zooprofilattici sperimentali di Teramo e Foggia, i cui risultati sono stati resi pubblici lo scorso 23 settembre.

Cosa dice lo studio

I ricercatori hanno rilevato anticorpi specifici contro il virus della CCHF in una popolazione di animali sentinella della regione Basilicata e ritengono “probabile” che, una volta introdotto, il virus possa diffondersi tra il bestiame e raggiungere anche l’uomo.

Suggeriscono quindi la necessità di “ulteriori studi su ampia scala per indentificare le aree a maggior rischio di infezione umana”.

Allerta e sorveglianza

La circolazione del virus, oggi limitata agli animali da allevamento, indica la presenza dell’infezione nel territorio lucano e sollecita piani di sorveglianza rivolti in particolare alle persone a maggior rischio di contagio, come allevatori, veterinari, operatori zootecnici e addetti alla macellazione.

Oltre al morso di una zecca il virus della Febbre emorragica Crimea-Congo può infatti trasmettersi maneggiando organi,tessuti e sangue di animali infetti.

Il virus è inoltre in grado di diffondersi da persona a persona per contatto con un ammalato (respirando goccioline infette emesse con tosse e starnuto o tramite sangue, escrezioni, mucose e ferite cutanee) e causare pericolosi focolai di infezione.

Una malattia emergente

Dopo i casi registrati in Grecia, nell’Est europeo (Albania, Bulgaria, Georgia, Kosovo, Russia, Ucraina e Turchia) e più recentemente in Spagna l’Unione europea:

– ritiene la Febbre emorragica di Crimea Congo una minaccia emergente per la salute pubblica

– indica la necessità di monitorare qualsiasi introduzione e circolazione del CCHF-virus nel territorio dell’Unione e soprattutto fra gli stati dell’Europa Sud-Occidentale finora considerati indenni

– sottolinea l’importanza di attuare adeguate misure di controllo per mitigare la diffusione della malattia, tenuto conto delle alte possibilità di contagio, dell’assenza di cure specifiche e del suo elevato tasso di mortalità (circa il 30%).

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Fonte immagine:

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/tbed.14710

Un report scientifico pubblicato lo scorso 24 settembre sulla rivista Nature indica un decorso più severo dell’infezione da Covid-19 in pazienti con storia di malattia di Lyme.

Pur non essendo chiari i meccanismi di questa correlazione i ricercatori ritengono che la Borreliosi e altre patologie derivanti dal morso di zecca possano aggravare il quadro clinico causato dal virus SARS-CoV-2.

L’indagine

Lo studio ha analizzato 3 gruppi di pazienti:

– 31 ricoverati in ospedale con Covid-19 grave, risultati tutti positivi ai test per la malattia di Lyme

– 28 pazienti con Covid-19 lieve o asintomatico, trattati a casa o inconsapevoli di essere infetti, 19 dei quali risultati positivi ai test

– 28 persone senza diagnosi e storia di COVID-19, delle quali solo 8 hanno rivelato anticorpi contro l’agente responsabile della Borreliosi.

Le conclusioni

In base ai dati raccolti i ricercatori hanno formulato due ipotesi:

– un aumento dei rischi in COVID-19 per le persone con storia di punture di zecche e infezioni correlate

– la possibilità che la malattia di Lyme sia in grado di “influenzare il sistema immunitario, diminuendo la sua efficacia nelle risposte all’infezione virale” da SARS-CoV-2.

Per confermare l’associazione tra malattia di Lyme e forme gravi di Covid-19 sono tuttavia necessari ulteriori studi.

Le condizioni al momento riconosciute cruciali nei pazienti Covid sono:

– diabete,

– malattie cardiovascolari,

– cancro,

– disturbi polmonari,

– disturbi immunologici,

– obesità,

– età avanzata.

I ricercatori ritengono comunque che le persone con pregressa diagnosi di malattia di Lyme siano a più alto rischio di ospedalizzazione qualora infettate dal Sars-CoV-2.

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Qual è la chiave della malattia di Lyme?

Secondo uno studio dell’università del Nebraska (USA) è la prevenzione e dipende dalla diffusione di informazioni corrette su come evitare le punture di zecca durante le escursioni, il lavoro e le attività all’aperto, soprattutto nelle aree in cui è nota la presenza della malattia.

Le 5 mosse da seguire

Da inizio primavera all’autunno inoltrato il rischio di subire un morso di zecca è un evento comune, perché è il periodo in cui le zecche sono più attive nella ricerca di un ospite sul quale nutrirsi.

Per evitare rischi mentre si fanno attività all’aperto basta mettere in pratica 5 semplici azioni:

– indossare vestiti di colore chiaro, preferendo maglie e camicie a manica lunga e pantaloni infilati nei calzini

– utilizzare un repellente sulla pelle scoperta (osservando scrupolosamente le indicazioni riportate sul prodotto)

– controllare regolarmente dinon avere zecche sul corpo (al rientro a casa è importante fare una doccia e ispezionare con cura la pelle, anche con l’aiuto di un’altra persona)

– rimuovere immediatamente le eventuali zecche trovate (annotando la data dell’asportazione e facendo attenzione nelle settimane successive alla comparsa di “rossori” sulla pelle o di febbre, da segnalare subito al medico curante)

– esaminare con regolarità anche gli animali domestici e togliere le eventuali zecche presenti.

Come si riconosce una zecca sulla pelle

Poiché le zecche sono minuscole e agiscono in modo indolore possono facilmente passare inosservate.

Per trovarle sul corpo occorre un’ispezione accurata e fare attenzione a minuscoli rigonfiamenti della pelle simili a nei, ma in leggero rilievo.

Le zone più a rischio sono:

– testa (in particolare la zona della nuca),

– braccia e polsi,

– gambe (soprattutto l’incavo del ginocchio),

– ascelle,

– ombelico e giro vita.

Nei bambini è importante controllare anche l’attaccatura dei capelli e l’area dietro le orecchie.

In pochi casi ci si accorge della presenza di una zecca da un lieve arrossamento, unito a prurito, nella zona in cui è attaccata.

I vantaggi della prevenzione

Seguire tutte e 5 le precauzioni non costa nulla e produce tre grandi effetti:

– limita la possibilità di subire morsi di zecca

– permette di gestire efficacemente le punture di zecca e di evitare complicazioni

– riduce molto i rischi di malattia.

Ciò che conta è usare le precauzioni sempre e farle diventare un’abitudine, come allacciare le cinture di sicurezza in auto.

Per approfondire:

Le 5 regole da seguire

Si può curare la malattia di Lyme senza antibiotici?
Negli ultimi anni si sono diffusi vari siti internet di cliniche e centri di servizi che pubblicizzano rimedi alternativi per risolvere la malattia e dare sollievo a sintomi che persistono dopo i trattamenti convenzionali.

Di cosa si tratta?

Una ricerca realizzata da alcune prestigiose università americane (tra le quali ci sono la Scuola di Medicina e Sanità Pubblica dell’Università di Yale, la Divisione malattie infettive della Johns Hopkins University e il New York Medical College) ha indentificato più di30 trattamenti alternativi, pubblicizzati in internet come soluzioni in grado di contrastare o alleviare i sintomi della malattia di Lyme.

I ricercatori le hanno suddivise in 6 grandi categorie:

– trattamenti a base di ossigeno e ossigenoterapia reattiva;

– terapie a base di energia e radiazioni;

– terapia nutrizionale;

– terapia con metalli pesanti (come il bismuto);

– terapie biologiche e farmacologiche senza effetti terapeutici riconosciuti;

– trapianto di cellule staminali.

Sulla base della letteratura medica gli stessi ricercatori hanno concluso che “l’efficacia di questi trattamenti non convenzionali per la malattia di Lyme non è supportata daprove scientifiche e in molti casi i trattamenti sono potenzialmente dannosi”.

Due casi su cui riflettere

Una cura a base di bismuto (pseudo-farmaco noto anche come cromachina) utilizzata per trattare la malattia di Lyme ha provocato gravissimi effetti collaterali in due pazienti americani. Per uno dei due, le conseguenze sono state tali da provocare la morte. Il medico responsabile del trattamento è stato accusato di “grave negligenza” per essersi basato su uno studio che “mancava di credibilità scientifica” e dichiarato colpevole di omicidio colposo involontario.

L’utilizzo di rimedi omeopatici a base di sostanze di origine vegetale ha portato una donna con malattia di Lyme residente in Germania a sviluppare un’epatite che ha richiesto l’interruzione della terapia “naturale” e 6 settimane di trattamento per normalizzare i valori del fegato. Nel presentare il caso clinico gli studiosi hanno rimarcato che l’accesso ai trattamenti alternativi può determinare “esiti avversi imprevedibili”.

I medicinali botanici e naturali

Test di laboratorio realizzati in “provetta” (in vitro) hanno evidenziato che diversi estratti di prodotti botanici e naturali possiedono proprietà anti-Borrelia e sono potenzialmente capaci di ostacolare l’agente responsabile della malattia di Lyme.

Per il loro utilizzo resta tuttavia necessario attendere l’esito di futuri studi clinici (in vivo) diretti a valutarne l’atossicità, l’efficacia e la sicurezza nell’uomo.

Le cellule staminali

La letteratura scientifica oggi disponibile non consente di dimostrare che la terapia con cellule staminali è efficace contro la malattia di Lyme e sicura nel tempo.

Tra i limitati studi pubblicati al riguardo va segnalato il ricorso al trapianto di cellule staminali umane in pazienti affetti da altre patologie potenzialmente gravi, che hanno contratto l’infezione. Il tasso di guarigione è stato “di circa il 50%, anche se circa la metà dei pazienti è morta entro 20 mesi dal trapianto”.

Le raccomandazioni

Il Ministero della Salute e le linee guida internazionali indicano chiaramente che solo un adeguato trattamento antibiotico può curare la malattia di Lyme ed evitare complicazioni.

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Il nuovo vaccino contro la malattia di Lyme, identificato con la sigla VLA 15, ha iniziato l’ultima fase di sperimentazione clinica (Fase 3): sarà testato su 6 mila volontari dai 5 anni in su, “arruolati” in una cinquantina di siti americani ed europei dove la malattia è altamente endemica.

Lo hanno comunicato le due aziende produttrici (l’americana Pfizer e la francese Valneva), sottolineando che gli studi di Fase 2 hanno rivelato una forte risposta immunitaria negli adulti e nei bambini, con profili di sicurezza e tollerabilità accettabili in entrambe le popolazioni di studio.

Cosa sappiamo del vaccino

Il VLA 15 è composto da antigeni proteici della Borrelia burgdorferi, il battere che provoca la malattia di Lyme. Attraverso “il blocco della proteina OspA, impedisce al battere di lasciare la zecca e infettare l’uomo”.

Il vaccino protegge da sei varianti di Borrelia che rappresentano le specie più diffuse negli Stati Uniti e in Europa e sono responsabili della maggior parte dei casi di malattia.

Tre dosi e un richiamo

Il ciclo vaccinale prevede la somministrazione di tre dosi, a cui si aggiunge un richiamo (dose booster) dopo un anno.

Le persone arruolate nella sperimentazione riceveranno tutte le 4 dosi del vaccino, di cui sarà monitorata l’efficacia protettiva, la sicurezza e la capacità di stimolare il sistema immunitario (immunogenicità).

I tempi

La sperimentazione verrà condotta in Finlandia, Germania, Olanda, Polonia, Svezia e Stati Uniti e si concluderà alla fine del 2024.

Se i risultati confermeranno le previsioni il vaccino potrà essere sottoposto all’approvazione delle agenzie regolatorie entro il 2025.

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Cosa succede quando la malattia di Lyme colpisce il cuore?
Un recente studio dell’azienda sanitaria-universitaria di Trieste, pubblicato sulla rivista internazionale Pathogens, fa luce sul coinvolgimento cardiaco della malattia spiegando come si manifesta, come si riconosce, come si cura.

Un evento raro, ma rilevante

Quando la malattia di Lyme interessa il cuore prende il nome di cardite di Lyme.

È un evento raro ma rilevante e spesso si accompagna o segue le manifestazioni della pelle (eritema migrante), delle articolazioni e del sistema nervoso.

Può presentarsi da pochi giorni ad alcuni mesi dopo la puntura di zecca.

Colpisce soprattutto le persone giovani tra i 20 e i 40 anni e di frequente si verifica da giugno a dicembre.

I sintomi

La cardite di Lyme ha sintomi variabili e poco specifici.

Molto spesso (circa 90% dei casi) si presenta come blocco atrioventricolare, causando rallentamenti e anomalie del ritmo cardiaco di entità fluttuante che nello spazio di giorni, ore o addirittura minuti possono evolvere in gravità e regredire.

I principali sintomi del blocco atrioventricolare comprendono:

– mancanza o difficoltà di respiro (dispnea)

– senso di stordimento

– palpitazioni

– dolore toracico

– sensazione di mancamento o vertigini

– svenimento.

La cardite di Lyme richiede il monitoraggio continuo del ritmo cardiaco e può rendere necessario un pacemaker temporaneo.

La diagnosi

Il coinvolgimento cardiaco nella malattia di Lyme va sospettato in caso di blocco atrioventricolare in pazienti:

– con eritema migrante o altri sintomi della malattia

– con una storia di esposizione a morsi di zecca in aree endemiche, specialmente se giovani.

Per la conferma del sospetto diagnostico è necessario valutare i risultati dei test di laboratorio, dell’elettrocardiogramma e dell’ecocardiografia.

La cura

La cardite di Lyme è solitamente transitoria e autolimitante e la prognosi è buona per i pazienti che ricevono un trattamento antibiotico precoce.

Nella maggior parte dei casi l’infezione si risolve entro due settimane.

La terapia antibiotica va iniziata non appena sorge il sospetto clinico di malattia.

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Le alte temperature estive hanno causato un’abbondanza di zecche e aumentato il rischio di punture infettanti.

Per questo motivo uno studio recente, pubblicato sul Giornale internazionale di ricerca e salute pubblica (International Journal of Environmental Research and Public Health), ha definito la borreliosi di Lyme e la Tbecome malattie “sensibili al clima”, ipotizzando la loro distribuzione in aree geografiche sempre più ampie per effetto del riscaldamento globale.

La spiegazione

L’innalzamento delle temperature favorisce inverni miti e stagioni primaverili e autunnali prolungate.

Tali condizioni consentono a un numero sempre maggiore di zecche di sopravvivere ai mesi inverali e di estendere il periodo di ricerca dell’ospite sul quale nutrirsi.

Questo aumenta la probabilità di incorrere in morsi di zecca e nella trasmissione di agenti infettivi come la Borrelia, responsabile della malattia di Lyme, e il virus della Tbe.

Caldo e umidità

Le zecche trascorrono la maggior parte della vita (circa 98%) nell’ambiente esterno e la loro attività è influenzata dalla temperatura, oltre che dall’umidità.

La comune zecca dei boschi (Ixodes ricinus) inizia la ricerca dell’ospite quando il termometro non scende sotto i 5° C e l’umidità relativa supera il 45%.

Le anomalie registrate in Italia durante l’inverno 2021-2022 soprattutto sulle Alpi, con picchi di oltre 4° C rispetto alle medie, segnalano pertanto che il morso di zecca non è più un evento stagionale, ma un evento che può verificarsi tutto l’anno.

Gli altri fattori di rischio

Con i cambiamenti climatici e la migrazione della fauna sono aumentati i luoghi favorevoli alle zecche.

Oltre agli ambienti naturali è piuttosto facile trovarle anche nei centri abitati (giardini e parchi), trasportate da animali selvatici -in particolare da uccelli, come i merli- la cui presenza in città è sempre più frequente.

Diversi studi sottolineano che le zecche proliferano negli ambienti urbani per l’ampia disponibilità di ospiti sui quali nutrirsi (animali domestici, animali selvatici, persone) e per la capacità di adattarsi alle condizioni climatiche locali.

Cosa aspettarci in futuro

A fine luglio la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) ha lanciato un “allarme”: in futuro avremo una maggiore diffusione di zecche, saranno più numerose le occasioni di contatto fra zecche e popolazioni umane, di conseguenza aumenteranno i rischi per la salute.

La previsione è verosimile, dal momento che l’alzarsi delle temperature provocherà:

– tassi più elevati di proliferazione dei parassiti,

– ne prolungherà il periodo di attività,

– li porterà a colonizzare anche aree geografiche dove non erano presenti, come l’alta montagna (1.700 mt) e i centri abitati,

avvicinando sempre più le zecche all’uomo.

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L’estate 2022 registra un deciso aumento delle malattie provocate da zecche e zanzare.

Il dottor Ruscio ne ha parlato a Telefriuli, nella rubrica “Family, salute & benessere” del 30 agosto e del 1° settembre, confermando un rialzo dei casi di Tbe, l’encefalite da zecche e la continua crescita delle infezioni da West Nile, il virus del Nilo Occidentale trasmesso dalla comune zanzara notturna.

Tbe e West Nile

Pur essendo due malattie distinte, Tbe e infezione del Nilo Occidentale hanno tre caratteristiche comuni:

– sono causate da un flavivirus (un genere di virus con propensione a diffondersi ed emergere in nuove aree geografiche per cause ancora da chiarire)

– si manifestano con febbre, anche elevata

– hanno come principale fonte di trasmissione un vettore: la zecca, nel caso della Tbe, la zanzara nel caso del Nilo Occidentale.

Entrambe le malattie non hanno una cura specifica, ma la Tbe può essere prevenuta con la vaccinazione, non disponibile invece per l’infezione da West Nile virus.

L’uso dei repellenti

Per ridurre i morsi di zecca e le punture di zanzara quando si è all’aperto, le autorità sanitarie indicano l’utilità di:

– usare indumenti che coprono quanto più possibile il corpo (indossando pantaloni lunghi e camicie a manica lunga, calzini e scarpe chiuse)

– proteggere con repellenti le parti scoperte (seguendo scrupolosamente le indicazioni e gli intervalli di applicazione riportati sui prodotti).

Come scegliere il prodotto idoneo

Per orientare la scelta del repellente la regione Veneto ha pubblicato nel suo sito web una Tabella con l’elenco dei prodotti più diffusi in Italia, indicando:

– l’efficacia e durata della loro azione protettiva

– i principi attivi contenuti e loro caratteristiche.

È bene ricordare che i repellenti non vanno usati:

– sulla pelle sotto i vestiti

– su tagli, ferite o pelle irritata

– sulle mani dei bambini (per evitare il contatto accidentale con occhi e bocca).

Quando la protezione non è più necessaria è consigliato lavare le parti trattate con acqua e sapone.

In caso di reazioni avverse occorre sospendere l’uso del prodotto e segnalare la reazione al medico.

Riportiamo il commento dell’assessore alla salute e vicepresidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi, sulla notizia ANSA relativa al test per la diagnosi della malattia di Lyme:

“Il Friuli Venezia Giulia continua ad essere protagonista nella ricercacon un nuovo test diagnostico, per rilevare la presenza dell’agente infettivo responsabile della malattia di Lyme, grazie alla collaborazione tra il professor Maurizio Ruscio, docente all’Università degli studi di Trieste tra i maggiori esperti del settore, insieme con l’azienda del settore sanitario Friuli Coram.

Colgo l’occasione per ringraziare, ancora una volta, il dott. Maurizio Ruscio per il suo grande contributo al nostro sistema sanitario regionale durante il periodo pandemico, grazie al Laboratorio dell’Istituto di Igiene presso l’Ospedale Maggiore, operativo da marzo 2021, che ha classificato il Friuli Venezia Giulia una tra le prime regioni a utilizzare il test molecolare salivare per lo screening per SARS-COV-2. I test salivari hanno permesso l’esecuzione di almeno 1500 test al giorno.”

Maurizio Ruscio è presidente e socio fondatore del Gruppo Italiano per lo Studio della Malattia di Lyme, nonché ex direttore dell’Azienda Sanitaria Universitaria Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina presso la S.C. Laboratorio Unico e dell’IRCCS Burlo Garofolo e presidente nazionale del Gruppo Italiano per lo Studio della malattia di Lyme.”

Leggi il post dell’Assessore Riccardi

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