Lo scorso 4 aprile il Ministero della Salute ha pubblicato nel portale “Malattie rare” i risultati dell’indagine “Malattia di Lyme, la voce di pazienti e caregiver”, promossa dall’Associazione Lyme Italia e coinfezioni dal 15 giugno al 6 settembre 2021.

Il report segnala che dall’insorgere dei primi sintomi alla diagnosi di malattia spesso trascorrono “diversi mesi, in alcuni casi anni, con almeno cinque visite, una serie di accertamenti e consulti medici condotti anche fuori dalla regione di residenza, e un esborso monetario superiore a 500 euro, spesso oltre i 1.000 euro”.

L’indagine

La ricerca indica che nel 73% dei casi la diagnosi di malattia di Lyme è stata posta da un medico specialista, il 21% da un Centro per le malattie rare e solo il 5% dal medico di base.

Quanto alla cura il report evidenzia che solo un terzo dei pazienti ha ricevuto i trattamenti terapeutici nel luogo di residenza, il 25% è stato costretto a uscire dalla propria regione e il 35% si è recato addirittura all’estero.

I risultati dello studio sottolineano inoltre:

– un significativo impegno economico a carico dei pazienti: per il 68% l’esborso annuo è maggiore di 1.000 euro

– un rilevante impatto della malattia nella vita quotidiana: il 66% di coloro che hanno partecipato all’indagine ha dichiarato di aver dovuto lasciare il proprio lavoro o percorso scolastico: il 34% in via temporanea, il 21% in modo definitivo. L’11% si è trovato nella necessità di cambiare lavoro o percorso di studi.

Tra gli stati d’animo “misurati”: l’86% dei pazienti si è dichiarato notevolmente stanco; il 64% incompreso, il 79% ha affermato che vivere con la malattia di Lyme significa non avere leggi che garantiscono un’adeguata tutela.

Importanti anche le conseguenze della malattia su quanti assistono un familiare malato (caregiver): molti di loro hanno dovuto assentarsi frequentemente dal lavoro per prendersi cura e dare supporto al proprio congiunto.

Il campione

All’indagine hanno partecipato 150 pazienti e 28 caregiver.

Dei 150 pazienti:

– più di due terzi è di genere femminile

– oltre la metà (53%) ha tra i 40 e i 59 anni, il 32% tra i 18 e i 39 anni, il 14% ha un’età superiore ai 60 anni

– il 75% risiede nel Nord Italia, il 12% nell’Italia centrale e il 10% nel Sud e nelle Isole, il restante 3% in Belgio e Svizzera.

Dei 28 caregiver:

– il 68% è di genere femminile

– il 46% ha più di sessant’anni, il 39% ha un’età compresa tra i quaranta e i 59 anni e il 14% ha tra i 18 e i 39 anni.

Dal punto di vista geografico la maggior parte del campione complessivo proviene da Piemonte, Lazio, Lombardia e Veneto.

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I ricercatori della Tufts University School of Medicine di Boston (USA) hanno annunciato la possibilità di un test per diagnosticare precocemente la malattia di Lyme, monitorare la risposta al trattamento antibiotico e accertare i casi di reinfezione.

La notizia fa seguito ai risultati di uno studio pubblicato il 15 marzo 2022 sul Journal of Clinical Investigation che annuncia la scoperta di un nuovo anticorpo in grado di rivelare l’infezione con notevole anticipo e stabilire il successo delle cure.

Cosa dice lo studio

Secondo gli scienziati americani la Borrelia – agente infettivo della malattia di Lyme – ricava alcuni nutrienti necessari alla crescita, come i grassi chiamati fosfolipidi, direttamente dall’ospite e li mette sulla sua superficie.

Il sistema immunitario dell’ospite reagisce sviluppando anticorpi contro i fosfolipidi che:

– si manifestano molto più rapidamente degli anticorpi tradizionali

– tendono a scomparire altrettanto rapidamente quando la cura antibiotica ha successo e neutralizza la Borrelia.

Un test in grado di rilevare gli anticorpi anti-fosfolipidi permetterebbe quindi di:

– diagnosticare precocemente la malattia di Lyme

– verificare se il trattamento antibiotico sta funzionando

– identificare i pazienti che si sono reinfettati.

I test tradizionali

I test attualmente utilizzati per confermare la malattia di Lyme sono quelli sierologici (ELISA – Immunoblot) e individuano gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta all’infezione provocata dalla Borrelia.

Nonostante la loro accuratezza:

– sono poco sensibili nei giorni immediatamente successivi al morso di zecca

– la loro capacità diagnostica aumenta dopo alcune settimane di infezione

– rilevano la presenza di anticorpi per molto tempo, talora anche per anni.

Di conseguenza i test attuali non sono in grado di distinguere tra infezione attiva e infezione passata e, nel caso di sintomi persistenti, di stabilire se il paziente soffre della Sindrome post trattamento della malattia di Lyme (PTLDS), non ha ricevuto una terapia adeguata e la Borrelia è ancora attiva, soffre di altre patologie”.

Un test basato sul riconoscimento di anticorpi precoci, come gli anticorpi anti-fosfolipidi, potrebbe quindi colmare i limiti degli attuali metodi di indagine, anticipare la diagnosi e riferire l’esito della terapia.

Le previsioni su un nuovo test diagnostico

Per il suo potenziale innovativo la scoperta della Tufts University School of Medicine di Boston è tutelata da un brevetto provvisorio.

Se ulteriori ricerche confermeranno le rivelazioni sugli anticorpi anti-fosfolipidi è possibile prevedere la cessione del brevetto a un’azienda diagnostica per lo sviluppo di una versione “commerciale” del test.

I tempi però non saranno brevi.

A parere dei ricercatori americani è presto per fare previsioni, ma ci vorranno almenoun paio d’anni.

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Fonte immagine: https://now.tufts.edu

Peter Gwynne, ricercatore presso la Tufts University School of Medicine e autore principale della ricerca sugli anticorpi antifosfolipidi

Forestali e agricoltori sono i più colpiti dai morsi di zecca e hanno le maggiori probabilità di subire punture infettanti.

Ad alto rischio anche le persone che vivono in prossimità di aree rurali.

A dirlo sono i risultati di due anni di indagini realizzate in Baviera (Germania) fra diverse categorie di lavoratori outdoor (all’aperto).

Le indagini

Lo studio, basato su un campione di 3503 occupati, indica i forestali come più esposti al morso di zecca (85,7%).

A seguire gli agricoltori (73,6%) e più distanziati altri operatori del verde (66,3%).

L’analisi rivela inoltre che quanti vivono in zone rurali hanno il doppio di probabilità di subire una puntura di zecca rispetto a quanti risiedono in aree urbane.

Perché forestali e agricoltori

Il rischio maggiore dei forestali è attribuito alle attività svolte negli ambienti naturali e in habitat favorevoli alle zecche.

Il rischio leggermente inferiore degli agricoltori è spiegato con l’impiego di alti mezzi meccanici (che renderebbe meno frequenti i contatti con il terreno) e l’uso di insetticidi (a base di sostanze chimiche in grado di sfavorire i morsi di zecca).

Tra gli imprenditori agricoli lo studio distingue gli orticoltori, la cui area di lavoro sarebbe “povera di zecche” per la bassa presenza di alberi, siepi e arbusti, la regolare rimozione di residui fogliari e la distanza delle aree coltivate da quelle prative.

Malattia di Lyme e Tbe

Lo studio sottolinea un’elevata sieroprevalenza per la malattia di Lyme tra i lavoratori forestali della Baviera e stima il rischio di malattia tra lo 0,3 e l’1,4% dopo il morso di zecca.

Rivela inoltre che meno dell’1% delle zecche infette è vettore del virus della Tbe, la cui circolazione risulterebbe circoscritta a piccoli focolai naturali.

Conferma che le zecche possono restare attive tutto l’anno, anche a temperature vicine al punto di congelamento e sollecita strategie di prevenzione mirate non solo per i lavoratori a più alto rischio ma anche per quanti vivono in prossimità di territori rurali.

Secondo uno studio epidemiologico condotto nell’area vi sono due gruppi di popolazione maggiormente esposti al morso di zecca e alla malattia di Lyme: i ragazzi maschi di età compresa tra i 5 e i 9 anni e le donne tra i 60 e i 69 anni.

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Il ritorno in Tv di Victoria Cabello sta facendo il giro del web, così come il racconto della sua battaglia contro la malattia di Lyme.

Una battaglia vinta, ma che l’ha costretta a restare lontana dal mondo dello spettacolo per un lungo periodo, durante il quale ha affrontato cure antibiotiche e un serio percorso di riabilitazione.

La testimonianza

È la stessa conduttrice a riferire di aver contratto la malattia di Lyme “in un viaggio all’estero” e di aver poi vissuto “un calvario” per la difficoltà di ottenere a una diagnosi.

“All’inizio mi sentivo tremendamente stanca, poi la cosa è andata peggiorando” ha dichiarato in una recente intervista. “Avevo problemi di memoria, dovevo scrivermi tutto e facevo fatica a ricordare e addirittura a muovermi e parlare. Ho avuto paura di dover dire addio alla mia quotidianità per sempre”.

Un caso emblematico

I disturbi riferiti dalla Cabello, sono rari ma non eccezionali.

La malattia di Lyme può infatti esprimersi con un’ampia costellazione di sintomi, anche generalizzati e disabilitanti (notevole fatica, dolore diffuso, rigidità delle articolazioni, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno) difficili da riconoscere e da attribuire correttamente all’infezione trasmessa dalle zecche.

In questi casi il riconoscimento della malattia richiede un notevole impegno diagnostico e la necessità di escludere altre possibili cause, come ad esempio la fibromialgia.

La capacità di imitare diverse patologie è un tratto distintivo della malattia di Lyme, chiamata proprio per questo la “Grande Simulatrice”.

Una malattia ancora poco conosciuta?

Il caso di Victoria Cabello non è isolato.

I cantanti Avril Lavigne e Justin Bieber, la modella Bella Hadid, gli attori Alec Baldwin e Richard Gere non hanno fatto mistero di essere stati colpiti dalla Borreliosi di Lyme e di aver affrontato periodi “difficili”.

Molti si sono anche espressi sulla pericolosità della malattia in assenza di una corretta e tempestiva diagnosi, sottolineando che nonostante la sua ampia diffusione è ancora poco conosciuta e può dare sintomi spesso sottovalutati.

L’importanza della prevenzione

Quella di Lyme è una malattia complessa, per la quale non esiste un vaccino. Purtroppo non lascia immunità e ci si può ammalare più volte.

La protezione più efficace obbliga a giocare d’anticipo, imparando a evitare le zecche e quando non è possibile gestendo correttamente il loro morso.

L’intervista di Vittoria Cabello al Corriere della Sera:

Victoria Cabello: «La sindrome di Lyme mi causato problemi di memoria»- Corriere.it

Fonte immagine:

https://www.instagram.com/victoria.cabello/?hl=it

Il virus responsabile della Febbre emorragica di Crimea-Congo (CCHF) si sta espandendo in Europa e il suo vettore, la zecca del genere Hyalomma, è stato trovato sugli uccelli migratori in arrivo nel Regno Unito.

Per ridurre la possibilità di focolai infettivi le autorità inglesi hanno finanziato una ricerca che indicherà soluzioni ambientali per mitigare i futuri rischi per la salute.

A darne notizia è l’Università di Liverpool con un comunicato stampa diffuso il 24 febbraio 2022.

Il focus della ricerca

Il progetto da 2 milioni di sterline coinvolge scienziati del Centre for Ecology & Hydrology (UKCEH), delle Università di Glasgow e Liverpool, dell’Agenzia britannica per la salute e la sicurezza.

Prevede la stesura di «mappe del rischio» sulla diffusione presente e futura di 3 agenti infettivi trasmessi dalle zecche:

– il virus della Febbre emorragica di Crimea-Congo

– il virus dell’Encefalite da zecche (Tbe)

– il battere della malattia di Lyme.

Per il gruppo di ricerca si tratta di tre “minacce” emergenti e potenzialmente gravi sia per salute umana, sia per la salute animale.

L’aumento di zecche e malattie

Come il resto d’Europa anche l’Inghilterra sta registrando una rapida espansione delle zecche, in particolare dell’Ixodes ricinus (la comune zecca dei boschi) e una crescita delle malattie legate al loro morso.

La borreliosi di Lyme è aumentata di 10 volte dal 2000 ad oggi e dal 2019 vi è evidenza di casi di encefalite da zecche (Tbe).

L’arrivo di zecche Hyalomma infette dal virus della Febbre emorragica di Crimea-Congo è quindi un ulteriore campanello di allarme.

Gli scenari-chiave

Il nuovo progetto di ricerca integrerà indagini sugli animali, dati climatici, modelli di migrazione dell’avifauna e cambiamenti sull’uso del suolo e delle aree boschive.

Integrando i relativi dati si propone di sviluppare nuove strategie di gestione ambientale in grado di “massimizzare i benefici per la biodiversità e il benessere umano, riducendo al minimo i rischi presenti e futuri delle malattie trasmesse dalle zecche”.

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Riconoscere l’eritema migrante, con le varianti cliniche della sua presentazione, consente il trattamento precoce della malattia di Lyme e può prevenire le complicanze tardive.

A sottolinearlo è una ricerca dell’università americana John Hopkins (realizzata dal Johns Hopkins Medicine Lyme Disease Research Center) la quale suggerisce che le caratteristiche dell’eritema migrante possano essere associate a:

– età

– durata

– posizione corporea

con significative differenze tra uomo e donna.

I risultati

In base all’osservazione di 271 pazienti adulti affetti da eritema migrante la ricerca americana ha evidenziato:

– nella popolazione maschile l’eritema risulta in media più grande di 2,18 cm rispetto alla popolazione femminile

– le probabilità di un eritema rosso (contro viola/blu/rosso) sono inferiori del 65% nei maschi rispetto alle femmine

– le probabilità di un eritema rosso (contro viola/blu/rosso) sono oltre 3 volte più alte se compare sul bacino, sul busto o sul braccio rispetto alla gamba

– gli eritemi sul bacino o sul busto hanno circa 2,5 volte più probabilità di avere una forma ovale invece che rotonda

– gli eritemi “a bersaglio” (detti anche “a occhio di bue”) sono più rari negli anziani e le probabilità della loro comparsa diminuiscono progressivamente con l’avanzare dell’età.

Le aree più colpite

Parte superiore gamba, addome e zona del ginocchio sono le tre sedi dove l’eritema è stato riscontrato con maggiore frequenza.

Al contrario, parte inferiore del braccio, collo e piede sono le sedi dove l’eritema è stato notato più raramente.

L’auto analisi

Anche se l’86,4% del campione ha rilevato l’eritema con l’auto osservazione le donne si sono dimostrate più attente degli uomini nel notare la comparsa della lesione (92,4% contro 81,6%).

Le aree più difficili da esplorare si sono rivelate la schiena e la spalla.

Le aree dove l’eritema è stato rilevato più facilmente sono le estremità, i glutei e l’ascella.

Forma e colore

Nel 50,9% dei casi l’eritema è risultato tondeggiante, nel 39,1% ovale e nel 10% di forma e presentazione irregolare; il più delle volte (74,9%) colorato di rosso e più raramente (25,1%) con sfumature rosso violacee o bluastre.

Le probabilità di un eritema rosso sono state 3 volte più alte per l’eritema trovato sul bacino, sul busto o sul braccio rispetto alla gamba.

L’espansione

Le dimensioni dell’eritema sono aumentate in media di 4,2 millimetri al giorno, fino a un picco di 14 giorni, dopo di che la lesione ha iniziato lentamente a ridursi.

Per ogni aumento di 1 cm di dimensioni, le probabilità di un eritema omogeneo sono cresciute del 18%.

Il messaggio della ricerca

L’eritema migrante è l’unica manifestazione della malattia di Lyme sufficientemente distintiva per consentire la diagnosi clinica senza conferme di laboratorio.

L’eritema può tuttavia presentarsi in varie forme e riconoscere le differenti presentazioni permette di iniziare subito la terapia, prevenendo le manifestazioni tardive.

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Il virus responsabile della Febbre emorragica di Crimea-Congo (CCHF) sta circolando in gran parte della Spagna ed è già stato rilevato in cinque comunità autonome del centro e sud-ovest del Paese: Andalusia, Estremadura, Madrid, Castiglia Leon e Castiglia la Mancha.

La notizia è comparsa il 21 febbraio sul quotidiano spagnolo ABC e riporta i risultati di uno studio del Centro Nazionale di Microbiologia sulla propagazione del virus nella penisola iberica.

Ipotesi e conferme

I sospetti che il virus stesse rapidamente diffondendosi sono iniziati nel 2016, quando è stato accertato il primo caso di Febbre emorragica di Crimea-Congo in un cittadino spagnolo, infettato da un morso di zecca dopo una passeggiata nelle campagne di Avila. 
Al tempo la presenza del virus era nota in altre località ma i dati erano isolati e incerti.
La rapida successione di casi (10 casi di cui 3 mortali) ha allertato le autorità sanitarie, spingendole a promuovere una ricerca su vasta scala.

Cosa dicono gli esperti

Per María Paz Sánchez-Seco, a capo della ricerca realizzata nel territorio spagnolo, la Febbre emorragica di Crimea-Congo “è già una malattia endemica, ma con un’incidenza bassa, almeno per il momento”.
La ricercatrice non esclude però un aumento di casi per la continua diffusione del virus e l’alto numero di zecche infette (2,96%).

Le preoccupazioni dell’OMS

L’Istituto per la ricerca sulle risorse venatorie (IREC) considera la presenza del virus un “rischio” per la salute pubblica” e ricorda che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera la Febbre emorragica Crimea-Congo una delle “più importanti malattie infettive emergenti” per il suo potenziale pandemico e l’elevato tasso di mortalità (circa il 30%).
L’infezione infatti può diffondersi in modo rapido e vasto poiché è trasmissibile anche da persona a persona attraverso il contatto con sangue o tessuti infetti.

Le previsioni

Per gli esperti la possibilità di sradicare il virus in Spagna è praticamente impossibile.
L’unica arma è controllare come si espande e soprattutto fare prevenzione, insegnando a evitare i morsi di zecca. In particolare delle zecche Hyalomma, principali serbatoi e vettori del virus.

Per approfondire:
Il virus emorragico Crimea-Congo sta già circolando in gran parte della Spagna (abc.es)

 

fonte immagine: Emerging infectious diseases

Dal mese di febbraio il dottor Ruscio esercita a Trieste, Udine e Tricesimo.

Le sedi operative

Il dottor Ruscio svolge attività ambulatoriale:

– a Trieste, presso la casa di cura medico-chirurgica “Sanatorio Triestino” (via D. Rossetti, 62). Per appuntamenti è possibile telefonare al numero: 040 9409556 (orario di segreteria: da lunedì a venerdì dalle 8 alle 15)

– a Udine, presso l’istituzione sanitaria “New Coram” (via T. Ciconi, 10/2). Per appuntamenti è possibile telefonare al numero: 0432 585420 (orari di segreteria: da lunedì a venerdì dalle 8 alle 20; sabato dalle 8 alle 13)

– a Tricesimo, presso la struttura polispecialistica “Sanirad” (via Via J. F. Kennedy, 3). Per appuntamenti è possibile telefonare al numero: 0432 854123 (orario di segreteria: da lunedì a venerdì dalle 8.30 alle 19.30; sabato dalle 8.30 alle 16).

Ci sono domande?

Per chiarire un dubbio, ottenere una spiegazione o avere un’informazione dettagliata il dottor Ruscio è sempre raggiungibile tramite il form del sito.

Durante la pandemia Belluno ha registrato una netta diminuzione dei casi di encefalite da zecche (Tbe).

A darne notizia è il Corriere delle Alpi del 26 gennaio, sulla base del report predisposto dall’unità operativa di Malattie infettive e dal dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 1 “Dolomiti”, secondo il quale i tassi di malattia sono drasticamente diminuiti negli ultimi due anni, passando dai 20 casi del 2018 ai 4 casi dello scorso anno.

Il calo è attribuito alla ridotta frequentazione delle aree a rischio, anche se un ruolo chiave è riconosciuto al vaccino, considerato la vera «arma vincente» della prevenzione.

L’andamento della campagna vaccinale

Nel Bellunese la vaccinazione gratuita contro la Tbe è partita nel 2019 con la somministrazione di circa 13mila dosi, salite a 25mila nel 2020, per poi rallentare a causa del Covid.

Nel 2021 sono state comunque distribuite oltre 11mila dosi, per buona parte richiami.

L’efficacia del vaccino

Per essere protetti dalla Tbe le autorità sanitarie locali ricordano che sono necessarie 3 dosi di vaccino.

Le prime due inoculate a distanza di 1-3 mesi, la terza dopo 9-12 mesi.

L’effetto protettivo è di circa 3 anni e può essere prolungato con successivi richiami.

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Fonte immagine: Corriere delle Alpi del 26/01/2022

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