La Tbe (encefalite da zecche) è una malattia virale trasmessa principalmente con il morso di zecche infette. La possibilità di essere contagiati attraverso trasfusioni di sangue e trapianti di organi, tessuti e cellule è estremamente rara.

Lo dichiara il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) nel rapporto pubblicato il 2 ottobre, dove riassume la valutazione delle prove disponibili sui rischi di trasmissione del Tbe-virus, concentrandosi in particolare sulle sostanze di origine umana (sangue, organi, tessuti, cellule).

Le evidenze

Nella sua valutazione il ECDC riporta:

– 28.680 casi di encefalite da zecche notificati in ambito europeo tra il 2013 e il 2022

– due casi segnalati di trasmissione del Tbe-virus tramite trasfusione di sangue da un singolo donatore

– tre casi segnalati di trasmissione del Tbe-virus tramite trapianto di organi, sempre da un singolo donatore.

Il Centro europeo sottolinea inoltre l’assenza di segnalazioni sulla trasmissione della malattia attraverso trapianti di tessuti e cellule.

Sulla base di tali evidenze considera il rischio di trasmissione del Tbe-virus mediante sostanze di origine umana un evento assai raro e la probabilità che la trasmissione porti a una malattia sintomatica molto bassa.

Un problema di salute pubblica

L’ECDC evidenzia che l’encefalite da zecche “rappresenta una crescente preoccupazione per la salute pubblica in Europa, con migliaia di casi segnalati ogni anno in particolare nell’Europa centrale e settentrionale”.

Rimarca la stagionalità dell’infezione, i cui picchi si registrano soprattutto tra aprile e novembre, quando le zecche sono più attive e aumentano anche le attività umane all’aperto.

Perché non va sottovalutata

Il Rapporto dell’ECDC segnala anche:

– un’alta percentuale di infezioni da Tbe-virus non diagnosticata per la presentazione clinica lieve o asintomatica della malattia

– l’andamento generalmente bifasico dell’infezione, con una fase iniziale simil-influenzale seguita da una seconda fase caratterizzata da infiammazione del sistema nervoso centrale.

Il Rapporto rimarca la potenziale gravità dell’encefalite da zecche, sottolineando:

– il permanere di conseguenze a lungo termine in un importante numero di pazienti con sintomi neurologici (dal 10 al 40%)

– un tasso di mortalità compreso tra lo 0,5 e il 2%.

Le raccomandazioni

Per l’ECDC l’aumento dei tassi di vaccinazione contro il Tbe-virus nelle aree dove la malattia è endemica potrebbe costituire una misura di prevenzione utile a migliorare anche la sicurezza complessiva delle trasfusioni di sangue e dei trapianti di organi, tessuti e cellule.

Suggerisce inoltre quali altre misure di prevenzione:

– il rinvio delle donazioni sangue da parte di quanti segnalano recenti punture di zecche

– l’esecuzione di specifici test sierologici e molecolari per individuare l’esposizione al Tbe-virus in donatori di organi, tessuti e cellule.

Il Rapporto dell’ECDC riconosce infine diverse incertezze relativamente all’infezione da Tbe-virus e suggerisce la necessità di continue ricerche, oltre che della vigilanza e controllo della malattia, per salvaguardare la salute pubblica.

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Il Journal of Occupational Health ha dedicato un interessante approfondimento alla malattia di Lyme quale rischio professionale per diverse categorie di lavoratori.

Zecche: un rischio sempre più diffuso

L’articolo sottolinea che l’Ixodes ricinus, la zecca responsabile della malattia di Lyme, può trasmettere anche altre patologie, come la Tbe (encefalite da zecche) e diverse coinfezioni, come l’anaplasmosi e la babesiosi.

Segnala inoltre:

– l’ampia diffusione dell’Ixodes ricinus nei boschi, nei parchi, nei giardini e nelle aree rurali,

– la variabile distribuzione delle zecche nei diversi ambienti naturali,

– la maggiore possibilità di subire punture infettanti attraverso il contatto con erba, fogliame (e terriccio sotto le foglie), arbusti e vegetazione spontanea.

Le occupazioni interessate

Il Journal of Occupational Health riporta quali lavoratori maggiormente esposti al morso di zecca:

– le guardie forestali,

– gli addetti alla silvicoltura,

– gli agricoltori,

– i fotografi naturalisti,

– i manutentori di linee elettriche e ferroviarie,

– gli operatori della viabilità,

– i responsabili di parchi ricreativi e di campi sportivi,

– i giardinieri,

– i guardiacaccia e i guardiaparco,

– i costruttori di parchi eolici,

– gli incaricati dello spegnimento di incendi boschivi.

Poiché le zecche sono comunemente diffuse negli allevamenti zootecnici il rischio professionale viene esteso anche a veterinari, allevatori zootecnici e addetti alla macellazione.

I consigli

L’articolo indirizza ai lavoratori interessati tre raccomandazioni durante le attività all’aperto:

– utilizzare indumenti che coprono quanto più possibile il corpo, usare calzature chiuse e applicare sulla pelle scoperta repellenti a base di DEET.

Pur rimarcando che l’esposizione professionale quotidiana e prolungata nel tempo ai prodotti a base di DEET potrebbe “presentare rischi sconosciuti”, ne segnala l’efficacia protettiva e l’utilità nel ridurre i morsi di zecca;

– fare una doccia, al rientro dal lavoro, procedendo ad una accurata ispezione di tutto il corpo per individuare tempestivamente eventuali zecche sulla pelle.

I punti su cui concentrare l’ispezione sono: l’area dietro le ginocchia, l’inguine, le ascelle, la schiena, l’attaccatura dei capelli, la zona dietro le orecchie e più in generale tutte le parti dove si suda di più. Se l’ispezione non può essere fatta con l’aiuto di un’altra persona è utile usare la telecamera del telefono cellulare;

– togliere prontamente le zecche trovate sul corpo.

Per la rimozione viene consigliato l’uso di un estrattore in plastica o di dispositivi come le “Tick Card” che consentono la rimozione delle zecche in modo più semplice rispetto alle pinzette a punta fine. Prima dell’utilizzo estrattori e Tick Card, al pari delle pinzette, vanno lavati e possibilmente disinfettati.

La formazione

Tra i consigli di prevenzione l’articolo suggerisce di organizzare dei corsi di formazione professionale volti a far conoscere:

– l’uso dell’abbigliamento adeguato

– i comportamenti da tenere durante le attività outdoor

– le procedure da seguire per ispezionare con cura il proprio corpo

– i sistemi per rimuovere correttamente le zecche

– i sintomi a cui fare attenzione, come il presentarsi di arrossamenti sulla pelle o la comparsa di febbre, che vanno prontamente segnalati al medico.

Poiché i morsi di zecca non causano dolore possono facilmente passare inosservati la regolare ispezione della pelle e il riconoscimento dei primi segni di infezione sono fondamentali per una diagnosi tempestiva di eventuali infezioni e iniziare subito la più efficace terapia.

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L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato i dati sui casi di encefalite da zecche (Tbe) registrati dal 1° gennaio all’8 ottobre 2024. Complessivamente sono 45 e si riferiscono alle sole forme di «malattia neuro-invasiva» con severo coinvolgimento del sistema nervoso centrale (circa un terzo dei casi reali).

La potenziale gravità della Tbe è confermata da due decessi e dall’ampio strascico di conseguenze a lungo termine in una percentuale sostanziale di pazienti, che continua a manifestare nel tempo: memoria compromessa, concentrazione ridotta, difficoltà a camminare e coordinare i movimenti, mal di testa, problemi di equilibrio se non problemi più gravi che costringono i pazienti permanentemente a letto.

Il primato del Triveneto

Quasi tutti i casi di encefalite da zecche accertati nel 2024 appartengono al Nord-Est italiano, che si conferma territorio endemico per la Tbe.

In cima alla classifica resta il Veneto con 28 casi, seguito da:

– Trentino-Alto Adige: 14 casi (di cui 9 riferiti alla provincia di Trento e 5 alla provincia di Bolzano)

– Friuli Venezia Giulia: 2 casi.

Esenti le altre regioni, con l’unica eccezione del Lazio, dove si è registrato un unico caso di malattia.

L’andamento stagionale

Anche quest’anno l’encefalite da zecca ha mostrato un caratteristico andamento stagionale.

Il picco delle infezioni si è verificato a luglio, con 19 casi, diventati 31 ad agosto, 40 a settembre e 45 nella prima settimana di ottobre.

L’importanza della prevenzione

Per la Tbe non esiste una cura specifica, ma sono possibili solo trattamenti di supporto e nei casi più severi è necessario il ricovero in ospedale.

È tuttavia possibile prevenire la malattia con la vaccinazione, consigliata dalle autorità sanitarie delle Regioni più colpite e in vari casi sostenuta con programmi vaccinali gratuiti per i residenti e per soggetti appartenenti ad alcune categorie a rischio.

Le precauzioni

Le stesse zecche che trasmettono la Tbe sono responsabili anche della malattia di Lyme, curabile con antibiotici ma non prevenibile con la vaccinazione.

In caso di attività all’aperto è quindi sempre opportuno evitare i morsi di zecca:

– usando repellenti (contro le zecche);

– indossando abiti che coprono quanto più possibile il corpo;

– verificando regolarmente se ci sono zecche sulla pelle (in particolare dopo le attività);

– togliendo subito le eventuali zecche trovate.

Anche se nel periodo primaverile-estivo e primo-autunnale si corrono i rischi maggiori occorre tener conto che le zecche possono restare attive tutto l’anno e rappresentare un’insidia anche da dicembre a febbraio, soprattutto nell’eventualità di autunni e inverni temperati.

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Fonte immagine https://www.epicentro.iss.it/arbovirosi/dashboard

La malattia di Lyme in gravidanza è un evento raro. Nella maggior parte dei casi la diagnosi è precoce e la manifestazione più comune è il caratteristico arrossamento cutaneo (eritema migrante) che compare nella zona del morso di zecca. Permette di iniziare subito un trattamento antibiotico appropriato e sicuro, riducendo il rischio di complicazioni e di esiti avversi.

È quanto rivela uno studio dei Centri americani per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), pubblicato il 27 settembre sulla rivista scientifica Zoonoses and Public Health.

27 anni di controlli e verifiche

Il quadro delineato dai CDC poggia sui dati di sorveglianza della malattia di Lyme raccolti nel periodo 1992-2019.

Sono frutto dell’analisi di 698.876 casi di malattia, all’interno dei quali sono stati individuati:

– 112.002 casi attribuiti a donne di età compresa tra 14 e 49 anni

– 568 casi attribuiti a donne con gravidanza confermata

– 75 casi attribuiti a donne con gravidanza probabile.

Le valutazioni relative a frequenza, stagionalità, distribuzione geografica e manifestazioni cliniche sono stati messi a confronto con i 32.301 casi di malattia registrati nello stesso periodo in donne sicuramente non incinte.

Stagionalità e diagnosi

Le indagini americane attribuiscono al mese di giugno il picco dei casi di malattia di Lyme nelle donne in attesa e ipotizzano che l’alta percentuale di diagnosi precoci sia da attribuire:

– ai frequenti contatti delle donne incinte con operatori sanitari e strutture sanitarie

– alla maggiore attenzione e sensibilità riservate ai problemi di salute delle donne in gestazione

– al tempestivo riconoscimento dei segni inziali di malattia.

L’importanza di una terapia corretta

Gli autori segnalano che il trattamento della malattia di Lyme prevede, anche in gravidanza, l’assunzione di antibiotici.

Attribuiscono esclusivamente al medico la prescrizione del farmaco, del dosaggio e della durata della terapia sia per ottenere un efficace esito terapeutico, sia per proteggere la madre e il feto da possibili complicazioni.

Gli studi scientifici non evidenziano un aumento del rischio di difetti congeniti nel feto in via di sviluppo se una futura madre:

– contrae la malattia di Lyme durante o prima della gravidanza

– effettua un idoneo ciclo terapeutico.

La prevenzione

Alle gestanti viene raccomandato di usare tutte le comuni misure di protezione per evitare i morsi di zecca durante le passeggiate e le escursioni in aree boschive ed erbose, compresi i parchi urbani e i giardini pubblici.

Per l’eventuale uso di repellenti viene altresì raccomandato di utilizzare prodotti sicuri in gravidanza e sentire il parere del medico in caso di dubbi o allergie.

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Un team di ricerca guidato dall’Università della California ha sviluppato una tecnologia innovativa per rilevare la malattia di Lyme: si potrà utilizzare in ambulatorio e fornirà la risposta in una ventina di minuti, rendendola visibile tramite smartphone.

In un articolo pubblicato il mese scorso su Nature Communications i ricercatori hanno spiegato che il nuovo sistema di analisi è frutto di cinque anni di studi, impiega strumenti di intelligenza artificiale ed è in grado di fornire risultati rapidi e accurati, utilizzando materiali a basso costo.

Di cosa si tratta?

È un esame sierologico e prevede la semplice puntura di un dito per raccogliere il campione di sangue necessario all’esame.

Come i tradizionali test di laboratorio rileva gli anticorpi contro l’agente causale della malattia di Lyme (Borrelia burgdorferi), ma non richiede competenze specifiche o specialistiche per l’esecuzione e la lettura dei risultati.

È affidabile?

Fino ad oggi il nuovo sistema analitico è stato sottoposto a un numero limitato di prove di convalida, utilizzando campioni di sangue provenienti da biobanche certificate e accessibili.

Messo a verifica su 30 campioni della Bay Area Lyme Disease Biobank ha dimostrato di possedere:

– una sensibilità (capacità di individuare correttamente i soggetti malati) del 95,5 percento

– una specificità (capacità di individuare correttamente i soggetti non malati) del 100 percento.

I ricercatori stanno ora cercando partner per valutare le prestazioni dell’esame in ampi studi clinici e mettere a punto un test da rendere disponibile sul mercato.

L’attuale offerta di test rapidi

La crescente richiesta di analisi rapide e l’esperienza del Covid-19 hanno reso disponibili diversi test “fai da te” per la malattia di Lyme, facilmente acquistabili online.

Nella maggior parte dei casi richiedono la puntura di un dito, tamponando il sangue che fuoriesce con una scheda di raccolta inclusa nel kit.

Il campione viene quindi inviato a un laboratorio per l’esame e i risultati sono in genere disponibili tramite un portale online.

Auto-esami e test di laboratorio

Sia i test rapidi auto-somministrati, sia i tradizionali test laboratorio ricercano gli anticorpi, ovvero le proteine del sangue – note come immunoglobuline M (IgM) e immunoglobuline G (IgG) – prodotte dal sistema immunitario in risposta all’esposizione al batterio Borrelia, agente della malattia di Lyme.

Di norma gli anticorpi si formano lentamente e impiegano diverse settimane prima di essere rilevabili.

È quindi fondamentale aspettare almeno 6-8 settimane dopo il morso di zecca per effettuare le analisi, così da consentire al sistema immunitario di sviluppare gli anticorpi e ai test di misurarli. Anticipare i tempi potrebbe significare anticorpi scarsamente formati e non rivelabili, producendo un risultato falsamente negativo.

Occorre inoltre considerare che gli anticorpi possono rimanere nel sangue per mesi o addirittura per anni. Di conseguenza un test positivo può indicare sia un’infezione recente, sia un’infezione passata e del tutto risolta, ma non è in grado di rispondere alla domanda: ho la malattia di Lyme?

La diagnosi corretta di malattia

Le linee guida internazionali concordano nel ritenere la comparsa del tipico Eritema migrante un elemento sufficiente per porre diagnosi di malattia di Lyme.

In assenza di tale manifestazione, indicano come iter diagnostico da seguire:

– l’analisi approfondita dei sintomi

– la raccolta particolareggiata di informazioni sulla storia del paziente

– l’interpretazione degli esami sierologici correttamente eseguiti.

Quando può servire un test rapido?

Gli esperti ritengono utile il ricorso a un test “fai da te” nel caso di persone che:

– vivono (o soggiornano) in zone endemiche per la malattia di Lyme

– hanno subito uno o più morsi di zecca

– nelle settimane successive sviluppano sintomi poco specifici, ma compatibili con l’infezione.

In questi casi è motivato l’uso di un test rapido e l’eventuale esito positivo dovrà essere valutato dal medico curante, che deciderà se iniziare subito la terapia antibiotica o disporre ulteriori accertamenti.

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La malattia di Lyme negli animali da compagnia è poco indagata nonostante rappresenti una minaccia concreta soprattutto per i cani. Alcune razze, in particolare, sembrano avere una maggiore suscettibilità all’infezione, risultando spesso positive agli anticorpi contro la Borrelia, agente causale della malattia.

Lo rivela uno studio dell’Università Lusófona di Lisbona (Portogallo), pubblicato lo scorso 11 settembre sulla rivista internazionale Veterinary Research Communications.

La mappa del rischio

Secondo i ricercatori portoghesi la maggior parte dei cani positivi alla Borrelia è concentrata nell’Europa settentrionale e orientale.

I tassi di sieropositività più alti si registrano in Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Germania, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Slovenia, Svezia e Svizzera.

Tassi più bassi invece sono segnalati in Andorra, Croazia, Grecia, Ungheria, Italia, Malta, Portogallo, Romania e Spagna.

Serbatoi silenziosi di malattia

Lo studio sottolinea che i cani sieropositivi alla Borrelia possono non mostrare segni clinici di malattia ed essere serbatoi silenziosi d’infezione.

Da qui l’importanza di:

– controllarli con regolarità

– rimuovere subito eventuali zecche trovate sul mantello

– riconoscere i segni e sintomi che possono far sospettare la malattia di Lyme.

Come individuare le zecche nei cani

L’unico modo per verificare se i cani hanno le zecche è visualizzare i parassiti negli animali.

Mentre è relativamente semplice individuare zecche adulte e congeste di sangue (perché aumentano notevolmente le dimensioni), meno facile è trovare sul cane larve o ninfe, difficili da riconoscere perché microscopiche.

Occorre quindi cercare piccoli rigonfiamenti (simili a minuscoli noduli), prestando particolare attenzione ad alcuni punti “sensibili”, come: orecchie, occhi, muso, collo, zampe, coda e zona perineale.

Va ricordato inoltre che il tempestivo allontanamento delle zecche interrompe l’eventuale trasmissione di agenti infettivi e può rappresentare una efficace misura protettiva.

I segni clinici a cui fare attenzione

La presentazione della malattia di Lyme nei cani può avvenire in modo poco specifico.

Di solito (ma non sempre) inizia con un arrossamento cutaneo transitorio, chiamato eritema migrante, che si sviluppa intorno alla sede del morso di zecca. Riportato anche nell’uomo, questo segno è purtroppo difficile da rilevare nei cani, in particolare quando il pelo è molto folto.

Altri sintomi di malattia sono:

– febbre, talora intermittente

– ingrossamento dei linfonodi

– perdita dell’appetito

– dolori muscolari

– affaticamento e stanchezza

– zoppia per paralisi degli arti o per artrite (tarso e carpo sono le articolazioni più colpite)

– congiuntivite.

Meno di frequente sono presenti anche: insufficienza renale, miocardite e segni neurologici con conseguenti cambiamenti nel comportamento (aggressività, convulsioni).

La diagnosi

Anche nei cani, come per l’uomo, il riconoscimento della malattia di Lyme va effettuato tramite una combinazione di:

– segni clinici

– fattori epidemiologici (presenza/diffusione della malattia nella zona geografica di riferimento)

– storia di esposizione alle zecche

– esclusione di altre malattie

– test sierologici per rilevare la presenza di anticorpi specifici contro la Borrelia.

Gli anticorpi possono essere rilevati dai test3-5 settimane dopo l’infezione. Prima di tale periodo la risposta immunitaria è scarsa e gli esami possono dare risultati falsamente negativi.

La prevenzione

Lo studio dell’Università di Lisbona raccomanda di usare misure efficaci per prevenire le infezioni da zecche nei cani.

Tali misure comprendono l’impiego di repellenti e antiparassitari.

I repellenti hanno lo scopo di tenere lontane le zecche, gli antiparassitari di svolgere un’azione tossica e sopprimere i parassiti resistenti all’azione del repellente.

Esiste anche la possibilità di una protezione vaccinale, di solito riservata a specifiche situazioni di rischio.

La scelta della profilassi dipende da diversi fattori, tra cui: la taglia e l’età del cane, l’ambiente in cui vive, la zona geografica dove abita, le abitudini (se dorme all’aperto, in luogo protetto o in compagnia di altri animali), particolari intolleranze ad alcuni farmaci.

È quindi consigliabile scegliere i prodotti dopo aver consultato un veterinario, che saprà dare i migliori consigli sul tipo di prevenzione, oltre che sulle modalità e i tempi di applicazione dei trattamenti.

I luoghi e le stagioni in cui le zecche sono più attive

Oltre che nei boschi situati a varie altitudini, le zecche sono comunemente presenti nelle aree cespugliose, nei prati incolti, fra i cumuli di foglie secche. Si possono trovare anche nei giardini, nei prati e nei parchi delle aree urbane e suburbane.

Sono in grado di resistere a diverse temperature e, in caso di inverni miti, possono restare attive tutti i mesi dell’anno, con picchi di attività soprattutto in primavera e in autunno (anche inoltrato).

Dopo un’escursione nella natura e negli spazi verdi cittadini è sempre consigliabile ispezionare il proprio cane, rimuovere con prontezza le zecche trovate e segnalare al veterinario di fiducia eventuali sintomi comparsi nelle settimane successive.

L’attività di controllo serve a proteggere non solo la salute dell’animale, ma anche quella del proprietario e dei suoi familiari che potrebbero venire a contatto con le eventuali zecche portate in casa dal cane e incorrere a loro volta in infezioni subdole e potenzialmente gravi.

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Un gruppo di ricerca del Laboratorio statale per gli agenti patogeni e la biosicurezza di Pechino ha individuato un nuovo virus trasmesso dalle zecche.

È il Wetland virus (WELV) o virus delle zone umide: può colpire diversi organi e causare danni neurologici e cerebrali.

La sua descrizione, così come la notizia del suo isolamento è stata diffusa il 4 settembre sul New England Journal of Medicine.

La scoperta del virus

Le indagini sono scattate nel 2019, quando un uomo di 61 anni “si è presentato con febbre persistente e disfunzione multiorgano dopo una puntura di zecca in un parco di zone umide nella Mongolia Interna”.

Le successive ricerche hanno consentito di identificare la causa dei sintomi in un orthonairovirus precedentemente sconosciuto (anche se correlato all’orthonairovirus responsabile della Febbre emorragica Crimea-Congo) e di indicare la zecca Haemaphysalis concinna come possibile mezzo di trasmissione.

La pericolosità del virus ha portato ad avviare un’approfondita indagine epidemiologica nelle province cinesi e riconoscere altri 17 casi di malattia.

I sintomi

L’infezione causata dal Wetland virus si presenta con sintomi poco specifici e comprendono:

– febbre

– vertigini

– mal di testa

– nausea e vomito

– dolori muscolari

– artrite

– mal di schiena.

A tali sintomi possono associarsi petecchie (piccole macchie sulla pelle o sulle mucose causate da emorragie circoscritte) e ingrossamento dei linfonodi.

I ricercatori cinesi segnalano inoltre che i pazienti colpiti dal virus presentano comunemente:

– leucopenia (bassi livelli di globuli bianchi)

– trombocitopenia (basso numero di piastrine nel sangue)

– livelli elevati di d-dimero (indicatore di coaguli di sangue)

– alti livelli di lattato deidrogenasi (indicatore di danni a tessuti o organi).

L’infezione può anche colpire il cervello, causando disturbi neurologici e, seppur raramente, portare al coma.

Cosa sappiamo della Haemaphysalis concinna, la zecca che trasmette il virus

È una zecca dura, nota come vettore di vari agenti infettivi tra cui il virus della Tbe (encefalite da zecche) e il battere responsabile della tularemia.

Uno studio dell’università di Vienna segnala la diffusione dell’Haemaphysalis concinna non solo in Cina e in Asia, ma anche nell’Europa centrale, in particolare nell’area a confine tra Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, dove risulta “la seconda specie di zecca più abbondante dopo l’Ixodes ricinus (la zecca dei boschi) raccolta dagli uccelli e la terza specie più abbondante segnalata nella vegetazione”.

Lo studio viennese ne indica la presenza anche in Italia, ma confinata alla tenuta di Castel Porziano (Roma).

C’è pericolo nel nostro Paese?

Anche se il rischio zero non esiste, sembrano esclusi – almeno al momento – timori in Italia. I casi di Wetland virus sono finora circoscritti al solo territorio cinese e non risultano segnalazioni in altre parti del mondo.

Occorre tuttavia attenzione: l’Haemaphysalis concinna può essere trasportata su lunghe distanze dagli uccelli migratori e non si può escludere che esemplari infetti possano espandersi al di fuori della Cina.

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Prendersi una pausa è importante, anche per noi! Per questo motivo la pubblicazione delle News del nostro sito sarà temporaneamente sospesa durante il mese di agosto.

Tuttavia, è importante ricordare che le zecche non vanno in vacanza.

Il rischio di subire il loro morso rimane alto durante tutta l’estate, soprattutto se si frequentano boschi, prati, aree naturali e spazi verdi.

È quindi fondamentale tenere alta la guardia della prevenzione e mettere in pratica alcuni semplici ma fondamentali consigli:

– Indossare abiti coprenti quando ci si trova in zone a rischio.

– Utilizzare repellenti antizecche sulla pelle scoperta.

– Controllare attentamente il corpo dopo essere stati all’aperto, soprattutto le zone dove si suda di più.

– Rimuovere immediatamente le zecche trovate sulla pelle con una pinzetta o un estrattore

– Monitorare la zona interessate e consultare il medico se compare un arrossamento cutaneo o insorgono sintomi come febbre e mal di testa.

Anche in vacanza difendiamo la salute!

Seguendo le semplici precauzioni sopra ricordate è possibile ridurre significativamente il rischio di essere punti da una zecca e di contrarre infezioni serie come la malattia di Lyme e la TBE.

Informarsi è la scelta migliore

Invitiamo quanti ci seguono a consultare le informazioni presenti sul sito per sapere come proteggersi al meglio.

Buone vacanze e … attenzione alle zecche!

Torneremo online il 2 settembre.

prof. Maurizio Ruscio e il team di morsodizecca.it

Tra le misure di protezione personale per evitare i morsi di zecca i CDC americani (Centers for Disease Control and Prevention) hanno inserito il lavaggio degli indumenti usati nelle attività all’aperto, raccomandando di metterli poi in asciugatrice almeno per un’ora. La motivazione è che “le zecche rimaste sui vestiti possono facilmente essere introdotte in casa e mordere”, contribuendo così alla diffusione di infesioni insidiose, complesse e talora serie, come la malattia di Lyme e la Tbe.

Poiché l’indicazione si basa su uno studio pubblicato nel 2003, il Centro nazionale per le malattie infettive emergenti e zoonotiche di Fort Collins (USA) ha condotto una sere di test sulla sopravvivenza delle zecche in varie condizioni di lavaggio e di asciugatura con l’obiettivo di “determinare i tempi e le condizioni ottimali” per una disinfestazione efficace del vestiario.

Cosa hanno rivelato le prove di lavaggio

Dopo aver messo piccoli gruppi di zecche in diversi sacchetti di mussola i responsabili di Fort Collins li hanno introdotti in lavatrice insieme ad un set di asciugamani, avviando quindi dei cicli di lavaggio a diverse temperature.

I test hanno rivelato che:

– il 100% delle zecche non è sopravvissuto al lavaggio con una temperatura dell’acqua pari o superiore a 54°C

– il 50% delle zecche è sopravvissuto al lavaggio con una temperatura dell’acqua inferiore a 54°C

– il 94% delle zecche è sopravvissuto al lavaggio con una temperatura dell’acqua compresa fra i 27 e i 46°C

– il 100% delle zecche è sopravvissuto al lavaggio con una temperatura dell’acqua compresa fra i 15 e i 27° C.

Gli esperimenti in asciugatrice

Quando le zecche sono state introdotte in asciugatrice hanno dimostrato di non sopravvivere a un ciclo di asciugatura di 55 minuti a temperature comprese fra i 54 e gli 85°C.

La scoperta significativa è tuttavia un’altra: nessuna zecca è sopravvissuta quando messa direttamente in asciugatrice insieme a un set di biancheria asciutta e sottoposta a un ciclo di asciugatura di almeno 6 minuti a temperatura elevata.

Perché questi studi?

L’esigenza di trovare un metodo per disinfestare gli indumenti è nata da alcune prove sul campo. Simulando attività di giardinaggio e di manutenzione del verde alcuni ricercatori del Maryland hanno individuato un numero rilevante di zecche attaccata alle gambe dei pantaloni e sui calzini.

Un’osservazione rafforzata da altri ricercatori del New Jersey che hanno trovato una media di nove zecche sui loro vestiti al rientro da un’escursione in un’area boschiva.

Poiché le zecche rimaste sugli indumenti rappresentano un potenziale rischio per l’ambiente domestico è nata l’esigenza di identificare metodi efficaci e facilmente utilizzabili da divulgare fra la popolazione come misura aggiuntiva di protezione.

Cosa fare?

Sulla base delle prove condotte gli esperti di Fort Collins hanno quindi rese pubbliche le seguenti indicazioni in grado di liberare i vestiti dalle zecche dopo aver effettuato un’escursione nel verde o svolto un’attività all’aperto:

– se gli indumenti utilizzati sono asciutti: metterli direttamente in asciugatrice per un minimo di 6 minuti a temperatura elevata

– se gli indumenti sono sporchi o umidi: sottoporli a un ciclo in lavatrice a una temperatura dell’acqua uguale o superiore ai 54° C.

Tali accorgimenti se praticati insieme agli altri metodi di protezione personale sono in grado di:

– evitare le infestazioni di zecche all’interno delle abitazioni

– ridurre l’esposizione ai loro morsi

– contenere ulteriormente il rischio di malattie.

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