In Trentino è stato individuato un nuovo focolaio di encefalite da zecche (Tbe). Riguarda i comuni di Canal San Bovo, Predazzo, Ziano di Fiemme e Mezzano dove si sono registrati diversi casi inaspettati di Tbe neuro-invasiva.

A darne notizia è uno studio coordinato dalla Fondazione “Mach” di San Michele all’Adige, pubblicato sul numero di settembre della rivista Elsevier.

Cosa rivelano i dati

Lo studio riferisce che dal 2022 al 2024 i casi di Tbe rilevati nell’area sono stati del tutto imprevisti, perché la malattia non era mai segnalata in precedenza.

In particolare il comune di Canal San Bovo si è distinto con un cluster di sette casi neuro-invasivi nel 2022, cui hanno fatto seguito altri quattro casi di malattia, localizzati a:

L’area coinvolta

Il focolaio descritto dallo studio interessa il territorio del Trentino orientale che comprende i comuni di:

La Tbe in Trentino: un trend in crescita

Dal 2017 esiste il sistema nazionale di sorveglianza delle infezioni neuro-invasive di TBE, al quale la Provincia Autonoma di Trento ha segnalato un crescente numero di casi, che ha raggiunto il suo massimo nel 2022.

Anche nel 2025 la Provincia ha tuttavia dimostrato un numero elevato di casi (oltre un terzo dei casi nazionali), come evidenziato dall’ultima rilevazione dell’Istituto Superiore di Sanità.

La diffusione della Tbe: il ruolo della fauna

Lo studio sottolinea come gli animali selvatici e l’avifauna possano svolgere un ruolo chiave nella diffusione delle zecche infette e nell’insorgenza di nuovi focolai:

In questo modo, anche aree che non sono state precedentemente segnalate come zone a rischio possono diventarlo, se raggiunte da fauna infetta o zecche provenienti da altri focolai di malattia.

Semi di faggio e abete rosso, topi di bosco e aumento del rischio

Lo studio segnala anche la connessione tra abbondanza di semi arborei (faggio e abete rosso) e l’aumento delle popolazioni di roditori boschivi, che rappresentano i serbatoi principali del Tbe-virus (TBEV) e sono ospiti preferiti delle zecche soprattutto nei primi stadi di sviluppo.

In annate in cui la produzione di semi è particolarmente elevata (fenomeno noto come “mast seeding”), i roditori dispongono di una maggiore disponibilità di cibo, con conseguente incremento delle loro popolazioni. Quando larve o ninfe di zecche si alimentano su di loro possono acquisire il virus e trasmetterlo con i morsi successivi, diventando efficienti vettori di infezione.

I consigli e le indicazioni dello studio

I ricercatori evidenziano il ruolo cruciale delle attività in grado di mitigare il rischio di Tbe, indicando in particolare l’importanza di:

  1. una sorveglianza integrata e a lungo termine del territorio e della fauna, insieme alla valutazione dei fattori che influenzano la circolazione del Tbe-virus,
  2. il monitoraggio di indicatori dell’attività virale nel territorio.
  3. le strategie di controllo per prevedere nuove aree con maggiore probabilità di insorgenza della malattia.

Indirettamente lo studio indica l’utilità di promuovere una rete di collaborazione fra istituzioni locali e servizi sanitari per limitare l’insorgenza di nuovi possibili casi umani di Tbe.

L’invito alla vaccinazione delle autorità sanitarie

Dopo i due casi mortali di encefalite da zecche accertati in Trentino nel luglio 2022 e nel gennaio 2023 le autorità sanitarie provinciali hanno promosso costanti campagne di sensibilizzazione, invitando residenti e turisti a prevenire la malattia attraverso la vaccinazione.

L’invito alla prevenzione poggia sulla potenziale gravità della malattia e sul fatto che la distribuzione del Tbe-virus è irregolare, con focolai che potrebbero essere stabili o altamente variabili nello spazio e nel tempo.

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L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato i dati sui casi di encefalite da zecche (Tbe) registrati dal 1° gennaio al 23 settembre 2025. Complessivamente sono 39 e si riferiscono alle sole forme di «infezione neuro-invasiva», responsabile di serie complicanze a carico del sistema nervoso centrale.

La potenziale gravità della Tbe è confermata da un decesso e dall’ampio strascico di conseguenze a lungo termine che si accompagna ai casi più severi: memoria compromessa, mal di testa, concentrazione ridotta, problemi di equilibrio e di coordinazione, difficoltà nei movimenti.

Triveneto l’area più colpita

La maggior parte dei casi di encefalite da zecche accertati nel 2025 appartiene al Nord-Est italiano, che si conferma territorio endemico per la Tbe.

In cima alla classifica c’è il Trentino Alto-Adige con 16 casi (14 nella Provincia Autonoma di Trento e 2 nella Provincia Autonoma di Bolzano), seguito da:

Esenti invece da contagi tutte le regioni del Sud.

L’andamento stagionale

Anche quest’anno l’encefalite da zecca ha mostrato un caratteristico andamento stagionale.

Il picco delle infezioni si è verificato a luglio, con 18 casi, diventati 30 ad agosto  e 39 al 23 settembre.

I numeri potrebbero tuttavia aumentare in conseguenza dell’intensa attività delle zecche nel periodo autunnale.

Il confronto con il 2024

Rispetto alla rilevazione del 2024 non c’è uno scostamento significativo di casi:

PeriodoN.ro di casiPeriodoN.ro di casi
Luglio 202419Luglio 202518
Agosto 202412Agosto 202512
Settembre 2024  9Settembre 2025 (fino al 23 settembre)  9
Totale40Totale39

L’importanza della prevenzione

Per la Tbe non esiste una cura specifica, ma sono possibili solo trattamenti di supporto e nei casi più severi è necessario il ricovero in ospedale.

È tuttavia possibile prevenire la malattia con la vaccinazione, consigliata dalle autorità sanitarie delle Regioni più colpite e in vari casi sostenuta con programmi vaccinali gratuiti per i residenti e per soggetti appartenenti alle categorie più a rischio.

I sintomi da non sottovalutare

Dopo un morso di zecca o attività all’aperto in zone endemiche, occorre prestare attenzione alla comparsa di sintomi simil-influenzali come:

Vanno segnalati tempestivamente al medico (insieme al morso di zecca): il loro riconoscimento è fondamentale per una diagnosi precoce.

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La diagnosi della malattia di Lyme si basa essenzialmente su due elementi chiave: la comparsa della tipica eruzione cutanea, nota come eritema migrante e i test sierologici. Tuttavia, non tutti i pazienti sviluppano il segno caratteristico della malattia e gli esami del sangue richiedono settimane prima di rilevare gli anticorpi specifici dell’infezione.

Un recente studio, pubblicato il 5 settembre 2025, apre nuove prospettive diagnostiche, dimostrando la capacità della termografia a infrarossi di rilevare l’infiammazione cutanea, invisibile a occhio nudo, corrispondente all’eritema migrante.

Come funziona la termografia

La termografia è una tecnica non invasiva che registra la radiazione infrarossa emessa dal corpo e permette di identificare variazioni di temperatura della pelle, spesso legate a processi infiammatori.

Nei pazienti inclusi nello studio ha evidenziato un caratteristico “anello caldo” nel sito del morso di zecca, simile al classico eritema migrante, registrando un incremento termico compreso tra 0,6 e 3,8 °C rispetto alle zone circostanti.

(A) Assenza di cambiamento visibile nella pelle del paziente 30 giorni dopo la puntura di zecca;
(B) termogramma infrarosso del paziente: nonostante l’assenza di eritema migrante, è visibile l’ipertermia a forma di anello, corrispondente all’eruzione cutanea dell’eritema migrante.

L’“anello” termico:

Un metodo semplice

La procedura è stata eseguita seguendo un protocollo standard:

In preparazione dell’esame i pazienti si sono astenuti da fisioterapia, massaggi, farmaci vasoattivi e preparati topici per almeno 24 ore e dal fumo o dal mangiare per 40-60 minuti.

Facilmente riproducibile

L’esame non ha richiesto infrastrutture complesse, permettendo di essere effettuato in ambulatorio con tempi e costi contenuti.

Un vantaggio cruciale dell’indagine è il suo utilizzo nelle fasi precoci della malattia di Lyme, quando i test sierologici sono scarsamente attendibili.

Le conclusioni degli esperti

I ricercatori sottolineano come la termografia a infrarossi possa diventare un valido strumento diagnostico complementare per la borreliosi di Lyme, soprattutto nei casi senza manifestazioni cutanee visibili.

Individuare il cosiddetto eritema nascosto significa poter iniziare la terapia in anticipo, riducendo il rischio di complicazioni e disturbi a lungo termine.

In sintesi: la termografia a infrarossi si candida come alleata preziosa nel riconoscimento precoce della malattia di Lyme, offrendo una nuova possibilità di diagnosi clinica in assenza dell’eritema migrante.

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Continuano i progressi della diagnostica di laboratorio per il riconoscimento precoce della malattia di Lyme.

Oltre all’Hybrid Lyme ELISA, il test che si propone di identificare la malattia in fase iniziale con una tecnica semplificata, i ricercatori hanno sviluppato un ulteriore esame del sangue innovativo. Si chiama LymeSeek e utilizza l’intelligenza artificiale per riconoscere l’infezione pochi giorni dopo il morso della zecca.

I dati relativi alle sue potenzialità sono stati presentati a Chicago, in occasione del recente convegno dell’Association for Diagnostics and Laboratory Medicine.

Le difficoltà della diagnosi precoce

Uno dei segni rivelatori della malattia di Lyme è l’eritema migrante (EM), la caratteristica eruzione cutanea che compare nel sito del morso di zecca. La sua presentazione consente una pronta diagnosi senza bisogno di ulteriori accertamenti.

L’eritema può tuttavia non manifestarsi o assumere forme atipiche. In questi casi il riconoscimento dell’infezione diventa difficile ed è necessario ricorrere agli esami di laboratorio.

I test attuali rilevano specifici anticorpi, che richiedono alcune settimane per formarsi. Ciò rappresenta un limite: nelle prime fasi d’infezione gli anticorpi potrebbero essere troppo bassi per essere rilevati con il rischio di ottenere risultati falsamente negativi.

L’innovazione del test LymeSeek con l’intelligenza artificiale

LymeSeek utilizza un altro approccio: rileva simultaneamente 10 antigeni diversi nel sangue tramite un test multiplex abbinato a un algoritmo di intelligenza artificiale.

Le prove condotte su 308 campioni di siero provenienti da pazienti con manifestazioni della malattia di Lyme di diversi stadi e da pazienti non Lyme hanno attribuito al test una sensibilità (capacità di rilevare la malattia) e una specificità (capacità di confermare l’assenza della malattia) molto elevate, rispettivamente del 91,7% e del 90,7%.

In particolare, nelle prime 72 ore dopo la comparsa dell’eritema migrante, LymeSeek ha diagnosticato il 100% dei casi, mentre i test standard ne hanno individuato il 37%.

Prospettive future

Gli sviluppatori stanno ora pianificando una sperimentazione clinica con la FDA (l’agenzia americana dei farmaci) per validare definitivamente LymeSeek. Il test ha già ottenuto una classificazione “De Novo” per le sue prestazioni diagnostiche innovative e per l’utilizzo di tecnologie non ancora presenti sul mercato.

Questi progressi aprono la strada a un cambiamento significativo nella tempestività e accuratezza diagnostica della malattia di Lyme, fondamentali per un trattamento efficace in grado di ridurre le complicanze e le conseguenze a lungo termine della malattia.

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La febbre emorragica di Crimea-Congo (CCHF) torna a preoccupare in Europa con cinque nuovi casi confermati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC): tre riguardano la Spagna, due la Grecia.

Per gli esperti è un chiaro segnale che la malattia si sta espandendo e c’è la necessità di un attento monitoraggio del suo principale vettore: le zecche del genere Hyalomma, la cui diffusione è sempre più frequente sia in aree già note sia in nuovi territori.

I casi in Spagna: un rischio concreto per chi sta all’aperto

Dal 2016 a oggi la Spagna ha registrato 16 casi gravi di febbre emorragica di Crimea-Congo, con un alto tasso di mortalità. La maggior parte delle infezioni si è verificata in primavera e in estate, quando le zecche sono più attive.

I nuovi casi riguardano le province di Salamanca, dove la circolazione della malattia è ben nota e Toledo, che ha registrato il suo primo caso nel 2024.

Sebbene il rischio per la popolazione generale resti basso, aumenta sensibilmente per chi svolge attività all’aperto, come lavoratori forestali, allevatori, cacciatori ed escursionisti. Proprio a questi ultimi l’ECDC raccomanda la massima prudenza e l’adozione di efficaci misure di protezione per evitare le punture di zecca.

Grecia: il ritorno inatteso della CCHF

In Grecia i due casi sono stati segnalati in Tessaglia, un’area che finora non aveva mai riportato la presenza della CCHF. Sono i primi episodi dal 2008, anno in cui fu registrato un unico caso isolato in Tracia, al confine con la Bulgaria.

Per le autorità, il ritorno della malattia in territorio greco rende urgente intensificare la sorveglianza e l’informazione rivolta a medici e cittadini sui rischi e i sintomi dell’infezione.

L’Italia e l’aumento delle zecche vettore

In Italia, fortunatamente, non si sono ancora verificati casi di febbre emorragica di Crimea-Congo, ma l’aumentata diffusione di zecche Hyalomma, principali vettori del virus che causa la malattia, desta preoccupazione.

Esemplari di Hyalomma sono stati individuati in diverse regioni, dalla Sicilia alla Sardegna, dalla Basilicata al Lazio, dalla Campania, alla Toscana, fino al Friuli Venezia Giulia. La loro espansione è favorita dai cambiamenti climatici e dagli uccelli migratori che trasportano larve e ninfe di Hyalomma per lunghe distanze, contribuendo a disperderle anche verso le Alpi e le aree transalpine.

Perché è importante essere cauti

La febbre Crimea-Congo è altamente contagiosa e si può trasmettere non solo tramite punture di zecca, ma anche per contatto diretto con sangue o liquidi biologici di persone contagiate, oppure toccando animali infetti o superfici contaminate. La malattia rappresenta un rischio molto serio per chi ha contatti ravvicinati e non protetti con i malati.

Il vero problema però è la “circolazione invisibile” del virus: le zecche non sono soltanto vettori, ma anche possibili serbatoi del virus, che può diffondersi silenziosamente in natura senza dare segnali evidenti. La sua presenza può essere riconosciuta solo attraverso complessi test di laboratorio di biosicurezza elevata, spesso non accessibili a tutti i centri di ricerca. Per questo una sorveglianza attenta, che tiene conto delle popolazioni di zecche sugli animali selvatici e di allevamento, è fondamentale per individuare tempestivamente le zone a rischio.

Cosa fare per proteggersi

Chi trascorre tempo all’aperto dovrebbe sempre adottare misure preventive per evitare le punture di zecca: indossare abiti chiari e coprenti, utilizzare repellenti specifici e controllare regolarmente la pelle durante e dopo le uscite.

Inoltre, monitorare le rotte migratorie degli uccelli e i cambiamenti ambientali è essenziale per tracciare la diffusione delle zecche Hyalomma e prevenire il rischio di diffusione del virus CCHF.

La febbre emorragica Crimea-Congo è una malattia emergente in Europa, inserita dall’Organizzazione mondiale della Sanità nell’elenco delle patologie con il più alto potenziale epidemico e di importanza prioritaria per la ricerca e lo sviluppo di farmaci.

Al momento, infatti, non esistono terapie specifiche o vaccini per il trattamento e la prevenzione della CCHF e anche le conoscenze relative al virus e ai suoi effetti patogenetici sono ancora molto limitate.

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Con la fine dell’estate i boschi si animano di cercatori di funghi, complice un’annata che si annuncia straordinaria, soprattutto al Nord. È un’attività che negli ultimi anni ha visto crescere il numero degli appassionati, come dimostrano le cronache recenti: cestini colmi, ritrovamenti abbondanti e purtroppo anche multe.

Il fascino della raccolta non conosce crisi: stare a contatto con la natura, camminare tra i sentieri, piegarsi ad osservare il terreno in cerca di porcini o finferli è per molti una passione irresistibile. Tuttavia, oltre a distinguere un fungo commestibile da uno velenoso, c’è un’altra conoscenza fondamentale per la sicurezza di chi frequenta i boschi: la prevenzione delle punture di zecca.

Zecche: un rischio spesso sottovalutato

Piogge abbondanti, temperature non troppo elevate, terreni ricchi di umidità sono un mix perfetto per la crescita dei funghi, ma rappresentano anche le condizioni ottimali per il proliferare delle zecche.

Quanti si avventurano nel bosco in cerca di funghi sono particolarmente esposti al loro morso: i movimenti tra cespugli e fogliame, l’abitudine di piegarsi e sostare vicino al terreno, l’addentrarsi in zone boschive poco battute li rendono bersagli perfetti.

Per una raccolta in sicurezza non va quindi dimenticata la possibilità di incontri sgraditi con le zecche. Proteggersi dai loro morsi  significa evitare malattie serie, come la malattia di Lyme e l’encefalite da zecca.

La prevenzione è la vera arma vincente

Come sempre la prevenzione resta la difesa più efficace e, nel caso delle zecche, richiede solo alcune semplici regole:

Vivere la natura in sicurezza

Andare a funghi è un’attività che unisce passione, tradizione e benessere. Ma per viverla pienamente, è fondamentale conoscere non solo le varietà commestibili, ma anche i comportamenti per difendersi da un pericolo invisibile ma reale.

La stagione è favorevole: prepariamo pure cestini e scarponi, ma senza dimenticare la prudenza. Perché la vera raccolta “di valore” è quella che porta a casa non solo i funghi, ma anche la serenità di essersi protetti.

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Un importante passo avanti nella diagnosi precoce della malattia di Lyme potrebbe arrivare da un nuovo test sierologico, in grado di rilevare l’infezione in fase iniziale, quando gli attuali test sono spesso negativi.

La metodica, sviluppata dall’azienda statunitense Kephera Diagnostics in collaborazione con il New York Medical College e la Lyme Disease Biobank, è stata descritta in uno studio pubblicato il 20 agosto 2025 sul Journal of Clinical Microbiology, rivista dell’American Society for Microbiology.

Un approccio innovativo

Il test, denominato Hybrid Lyme ELISA, ha dimostrato di rilevare titoli anticorpali relativamente bassi già all’inizio dell’infezione, grazie a un approccio innovativo.

Sfruttando la capacità degli anticorpi presenti nel siero di legarsi contemporaneamente a due antigeni correlati (VlsE e C6), riesce a identificare l’infezione in fase iniziale con un esame “single-tier” (a singolo livello). Questo permette di ottenere in un unico passaggio un’elevata sensibilità (capacità di individuare l’infezione) e una notevole specificità (capacità di confermare l’assenza della stessa).

Il superamento del protocollo tradizionale

Attualmente la diagnosi sierologica della malattia di Lyme segue un approccio a due livelli, che comprende l’esecuzione di:

1. un Test di screening (ELISA) per rilevare anticorpi specifici (IgM e IgG) contro la Borrelia (agente della malattia)

  • IgM: compaiono dopo alcune settimane dall’infezione.
  • IgG: emergono più tardi (settimane o mesi dopo) e persistono a lungo, anche dopo che l’infezione si è risolta.

2. un Test di conferma (immunoblot), eseguito in caso di positività o esito dubbio del test di screening, per documentare la presenza e la specificità degli anticorpi anti-Borrelia.

La procedura è complessa e lunga, poiché richiede di attendere i tempi di maturazione della reazione anticorpale. Se viene effettuata troppo presto può dare infatti falsi negativi.

Il nuovo test single-tier ha mostrato di poter semplificare il percorso diagnostico: nelle prove sperimentali ha raggiunto infatti una sensibilità del 94% nei pazienti con Lyme iniziale (eritema migrante), contro il 76% dei metodi tradizionali.

Possibili sviluppi

Se confermato da studi più ampi, l’Hybrid Lyme ELISA potrebbe introdurre un nuovo standard nella pratica clinica, consentendo una diagnosi più rapida e accurata nella malattia di Lyme iniziale.

Tra i suoi punti di forza vi è la compatibilità sia con procedure manuali, sia con sistemi automatizzati, per facilitare l’adozione del test nei laboratori diagnostici.

Un cauto ottimismo

Nonostante i dati incoraggianti, gli sviluppatori sottolineano alcune limitazioni:

In conclusione, l’Hybrid Lyme ELISA non è ancora pronto a sostituire i protocolli diagnostici esistenti, ma rappresenta un promettente complemento in attesa di ulteriori conferme cliniche.

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Durante il mese di agosto le pubblicazioni del sito morsodizecca.it si prendono una breve pausa. Torneremo online con nuovi aggiornamenti e approfondimenti a partire da lunedì 25 agosto.

Ma attenzione: le zecche non vanno in vacanza. Anzi, in estate sono più attive che mai!

Zecche in estate: un rischio da non sottovalutare

Nei mesi estivi le zecche sono particolarmente attive e rappresentano un potenziale rischio per la salute. Possono trasmettere malattie come la Lyme e altre infezioni batteriche o virali.

Durante passeggiate, escursioni o semplici attività all’aperto – anche nei parchi cittadini – è fondamentale adottare misure di prevenzione per evitare i morsi di zecca.

Prevenzione: il primo passo per difendersi

Ecco alcune buone pratiche da seguire:

Risorse utili sul nostro sito

Durante la pausa potete consultare le nostre guide aggiornate:

Grazie per averci seguito finora!

Vi auguriamo una buona estate in sicurezza, a contatto con la natura ma sempre con la giusta attenzione.

Ci ritroviamo online il 25 agosto con nuovi contenuti e aggiornamenti!

Maurizio Ruscio e il team di morsodizecca.it

Scoperto uno dei possibili meccanismi di resistenza della Borrelia agli antibiotici

Una scoperta scientifica recente getta nuova luce sulla persistenza della malattia di Lyme nonostante le terapie antibiotiche. Studi coordinati dall’Istituto Dermatologico San Gallicano IRCCS di Roma, pubblicati su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, hanno identificato un meccanismo chiave di resistenza: la capacità dei batteri Borrelia di formare biofilm, strutture protettive in grado di ridurre l’efficacia degli antibiotici convenzionali.

Cos’è il biofilm? Lo scudo invisibile delle Borrelie

I biofilm sono strutture batteriche complesse composte da polisaccaridi, proteine e acidi nucleici. Queste strutture agiscono come vere e proprie barriere fisiche e chimiche: proteggono le Borrelie, riducendo la penetrazione degli antibiotici e ostacolando l’azione del sistema immunitario.

Studi in vitro hanno dimostrato che, quando i batteri di Borrelia formano biofilm – compresi i batteri Borrelia afzelii e Borrelia garinii principali responsabili della malattia di Lyme in Europa – i farmaci utilizzati comunemente come ceftriaxone e doxiciclina riducono la propria efficacia.

Perché la malattia di Lyme può diventare cronica o resistente?

La formazione di biofilm spiega perché alcuni pazienti continuano a manifestare sintomi persistenti anche dopo il trattamento antibiotico. Il biofilm protegge la Borrelia dalla distruzione, permettendo al batterio di sopravvivere e di eludere le terapie.

Questo fenomeno ha un impatto diretto sulla persistenza della malattia e sulla gestione clinica delle forme croniche o persistenti.

Nuove prospettive terapeutiche e ricerca in corso

Le nuove scoperte, frutto del progetto BABEL finanziato dall’Associazione Lyme Italia e Coinfezioni, aprono la strada a una strategia innovativa: le ricerche puntano su terapie in grado di “rompere” il biofilm per rendere la Borrelia vulnerabile agli antibiotici.

Nuovi composti chimici sono al vaglio per migliorare l’efficacia delle cure, soprattutto nelle forme persistenti della Lyme.

La collaborazione tra ricerca scientifica e associazioni di pazienti resta fondamentale per accelerare i progressi in questa direzione e arrivare a terapie più efficaci e personalizzate.

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Pubblicato il: Settembre 28, 2025

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