Il 4 maggio la Spagna ha comunicato un nuovo caso mortale di febbre emorragica di Crimea-Congo (CCHF). Stando alle informazioni divulgate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) riguarda una persona che si è ammalata dopo una puntura di zecca subita durante un’escursione nella provincia di Avila.
Il decesso è avvenuto all’ospedale di Salamanca e la diagnosi di febbre emorragica di Crimea-Congo è stata confermata dal Centro nazionale di microbiologia dell’Istituto Carlo III di Madrid.
L’allerta
La notizia del decesso si è rapidamente diffusa nel Paese iberico suscitando ampia preoccupazione.
In allerta anche le autorità sanitarie, che temono un aumento dei casi per l’alto numero di zecche infette (2,96%).
Finora i casi noti di contagio sono 13, cinque dei quali hanno avuto esito mortale.
La febbre emorragica di Crimea-Congo è presente in Spagna dal 2016 e, secondo gli esperti è ormai endemica, ma con un’incidenza bassa, almeno per il momento.
Perché è una malattia temuta
La febbre emorragica di Crimea-Congo è una infezione grave e con un elevato tasso di mortalità (30% dei casi).
È causata da un virus (Nairovirus) e si trasmette:
– con il morso di zecche infette, soprattutto del genere Hyalomma
– maneggiando organi, tessuti e sangue di animali contagiati.
Il virus può diffondersi da persona a persona attraverso il contatto con un ammalato (respirando goccioline infette emesse con tosse e starnuto o tramite sangue, escrezioni, mucose e ferite cutanee) e causare pericolosi focolai di infezione.
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è una malattia emergente e con un alto potenziale pandemico.
Quali sono i sintomi
L’inizio della malattia è improvviso e caratterizzato da:
– febbre
– mialgia (dolore muscolare)
– vertigini
– dolore e rigidità del collo
– mal di schiena
– mal di testa
– bruciore agli occhi e fotofobia (sensibilità alla luce).
Nella fase iniziale possono inoltre comparire nausea, vomito, diarrea, dolori addominali e mal di gola, seguiti da sbalzi d’umore e confusione.
La progressione della malattia può quindi causare:
– dolore addominale con ingrossamento del fegato
– tachicardia (battito cardiaco accelerato)
– linfoadenopatia (ingrossamento dei linfonodi)
– rash petecchiale (una eruzione cutanea causata da sanguinamento nella pelle) sulle mucose interne (come bocca e gola) e la pelle.
Le petecchie possono dare origine a eruzioni più grandi (ecchimosi) e altri fenomeni emorragici.
Nei casi gravi può presentarsi insufficienza epatica, renale e polmonare.
Le cure
Per la febbre emorragica di Crimea-Congo non esiste una terapia specifica.
I trattamenti mirano a ridurre i sintomi e nei casi più gravi a supportare le funzioni vitali dell’organismo.
La diffusione
La febbre emorragica di Crimea-Congo è endemica in Africa, nel Medio Oriente e in diversi territori asiatici. In Europa è presente in Spagna, nei Balcani, in Grecia, in Turchia (considerata tra i principali epicentri della malattia) e nei Paesi dell’ex Unione Sovietica.
In Italia non si sono ancora registrati casi di contagio sull’uomo, ma anticorpi specifici contro il virus della CCHF sono stati rilevati in alcuni bovini della Basilicata, suggerendo una circolazione del virus tra gli animali.
Il timore che possa diffondersi tra il bestiame e raggiungere anche l’uomo (in particolare allevatori, veterinari, operatori zootecnici, addetti alla macellazione, cacciatori) ha portato alcuni enti scientifici italiani “a unire le forze per una ricerca meticolosa del virus nel territorio nazionale”.
Il monitoraggio in Basilicata è condotto dalle università di Padova e di Bari e con il “supporto della rete degli Istituti zooprofilattici l’attività di controllo si è estesa anche ad altre regioni del Centro-Sud e del Nord-Est italiano”.
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L’aumento dei casi di malattia di Lyme non è un rischio solo gli esseri umani, ma anche per gli animali domestici e per i cani in particolare. La segnalazione viene dai veterinari del Virginia-Maryland College of Veterinary Medicine i quali riportano che “i cani sono sempre più vulnerabili a questa malattia trasmessa dalle zecche”.
In un articolo pubblicato il 24 aprile nel sito dell’Università riassumono le 5 informazioni principali che ogni proprietario di cani dovrebbe sapere:
1 – il maggior rischio stagionale
Anche se “i cani, come gli esseri umani, possono contrarre la malattia di Lyme in qualsiasi periodo dell’anno” la possibilità di subire morsi di zecca infettanti è maggiore da inizio primavera al tardo autunno, quando le zecche sono più attive nella ricerca di un ospite da parassitare.
2 – i sintomi a cui fare attenzione
La malattia di Lyme può presentarsi nei cani con sintomi diversi e poco specifici, come:
– Febbre
– Dolore o gonfiore articolare, con zoppia che si sposta da un’articolazione all’altra
– Linfonodi ingrossati
– Letargia
– Perdita di appetito
– Aumento della sete e della minzione.
3 – le possibili conseguenze
Nei cani la malattia di Lyme può coinvolgere diversi organi e colpire:
– i reni, con possibili effetti letali
– il sistema nervoso, con possibili disturbi convulsivi
– le articolazioni, con possibili dolori cronici.
Più raro invece l’interessamento cardiaco.
4 – l’importanza della diagnosi e del trattamento precoci
Riconoscere tempestivamente la malattia di Lyme e instaurare una pronta terapia riducono nei cani, come nell’uomo, gli effetti più seri e le complicazioni a lungo termine.
Per diagnosticare la malattia di Lyme occorre:
– fare attenzione ai segni clinici
– tener conto dell’esposizione ai morsi di zecca
– valutare i risultati dei test, ricordando che i cani producono gli anticorpi rilevati dalle indagini 4-6 settimane dopo l’infezione.
La maggior parte dei sintomi causati dalla malattia di Lyme “si risolve rapidamente con il trattamento antibiotico”, generalmente protratto per la durata di un mese.
“Sebbene gli antibiotici siano efficaci nella maggior parte dei casi, è fondamentale completare l’intero ciclo di cura (anche se i sintomi migliorano) per prevenire il ripetersi della malattia e ridurre il rischio di complicanze”.
5 – la prevenzione
Come per tante malattie – sottolineano i veterinari dell’Università americana – la migliore cura è la prevenzione.
A questo fine consigliano i proprietari di cani di consultare il proprio veterinario di fiducia per:
– l’utilizzo di trattamenti antiparassitari preventivi
– la scelta dei prodotti e la frequenza delle applicazioni in base al livello di rischio ed a specifiche esigenze del singolo cane.
Raccomandano tuttavia un’ispezione periodica degli animali per verificare l’efficacia e la durata dei trattamenti.
Le linee guida europee
A rimarcare l’importanza della prevenzione è anche l’ESCCAP – European Scientific Counsel Companion Animal Parasites.
La guida pubblicata online sottolinea l’utilità delle “misure volte al controllo delle infestazioni da zecche quale metodo di scelta per la prevenzione della malattia di Lyme”.
L’ESCCAP ricorda inoltre che:
– i cani hanno un rischio 6 volte più alto rispetto all’uomo di contrarre l’agente infettivo della malattia di Lyme per la maggiore esposizione ambientale al morso di zecca
– una sierologia positiva in cani clinicamente sani può portare a errori diagnostici o all’inutile trattamento antibiotico
– le zecche raccolte da cani possono essere infette e vanno eliminate con cura per evitare la loro dispersione nell’ambiente domestico.
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Fonte immaginehttps://www.esccap.it/uploads/documenti/2648001.pdf
Un acaricida capace di “uccidere le zecche attaccate all’uomo con un singolo trattamento” è l’innovativo farmaco a cui sta lavorando una piccola azienda farmaceutica americana, la Tarsus Pharmaceuticals. Il prodotto si chiama TP-05 e la sua efficacia è attualmente in fase di sperimentazione clinica con un gruppo di volontari sani.
La notizia, pubblicata dal News York Times il 16 aprile, sottolinea la portata innovativa del trattamento: poiché prende di mira le zecche e non uno specifico agente infettivo, ha il potenziale di ridurre la malattia di Lyme e molte altre infezioni trasmesse con il morso di zecca.
Una novità terapeutica
Farmaci orali e topici (applicati sulla pelle) per la prevenzione delle zecche sono ampiamente utilizzati in ambito veterinario, soprattutto nella profilassi degli animali domestici.
Le preoccupazioni sulla loro sicurezza e i dubbi sull’accettazione da parte del pubblico ne hanno tuttavia ostacolato lo sviluppo ad uso umano.
A spingere la Tarsus Pharmaceuticals verso un cambio di rotta è il notevole aumento dei casi di Lyme. Secondo l’azienda e i suoi ricercatori è necessario agire sulla prevenzione e questo comporta “l’esplorazione di nuove opzioni terapeutiche”.
Cosa sappiamo del nuovo farmaco
Il TP-05 è una “formulazione orale di lotilaner, un agente antiparassitario che inibisce selettivamente i canali GABA-Cl specifici delle zecche”.
La Tarsus Pharmaceuticals lo identifica come “l’unica terapia preventiva non vaccinale, basata su farmaci in fase di sviluppo, progettata per uccidere le zecche e prevenire potenzialmente la trasmissione della malattia di Lyme”.
Uno «spillover» farmacologico
Il New York Times definisce l’iniziativa della Tarsus Pharmaceuticals “uno dei pochi esempi di trasferimento di un medicinale dal lato veterinario a quello umano”.
Riguardo alle prove cui è stato sottoposto, riporta che:
– è stato somministrato agli aderenti alla sperimentazione clinica “sotto forma di pillola, non di masticazione, al gusto di manzo”
– si è “dimostrato efficace al 90% circa nell’uccidere le zecche che mordevano i partecipanti sia il giorno di assunzione, sia nei 30 giorni successivi”
– durante i test “non sono emersi grossi problemi di sicurezza”.
Come è avvenuta la sperimentazione
Il sito della Tarsus Pharmaceuticals spiega come è stata valutata la capacità acaricida del TP-05:
– ai soggetti reclutati per lo studio è stato somministrato il trattamento (dose bassa o alta) e sono state poi attaccate delle “zecche sterili e non patogene”
– il posizionamento delle zecche “sulla pelle dei volontari sani è avvenuto in due momenti separati: un giorno prima della somministrazione (giorno 1) e il trentesimo giorno dopo la somministrazione (giorno 30)
– “la mortalità delle zecche è stata valutata dopo ogni posizionamento entro 24 ore dall’attaccamento”.
I risultati
Il farmaco TP-05, sia a dose alta che bassa, ha dimostrato un’efficacia statisticamente significativa nell’uccidere le zecche.
Nello specifico:
– i test del giorno 1, hanno rivelato una “mortalità media delle zecche” del 97% e del 92% rispettivamente a dose alta e bassa del medicinale
– le prove del giorno 30 hanno indicato una “mortalità media delle zecche a 24 ore dal posizionamento dell’89% e del 91%, rispettivamente a dose alta e bassa”
– il “TP-05 è stato generalmente ben tollerato”.
Avremo presto un acaricida per uso umano?
Nonostante i risultati promettenti la Tarsus Pharmacuticals è molto cauta sui programmi di sviluppo del nuovo medicinale.
“Ci vorranno diversi anni e molti altri cicli di studi clinici – sottolinea lo stesso News York Times – prima che uno qualsiasi di questi farmaci possa essere preso in considerazione dalla FDA” (l’Agenzia americana per gli alimenti e i farmaci). E in ogni caso l’atteggiamento delle persone verso un preparato acaricida orale, ad uso umano, “è un’incognita”. Se da un lato ha il vantaggio di proteggere “da molteplici infezioni trasmesse dalle zecche e non solo dalla malattia di Lyme”, dall’altro è “comprensibile che alcune persone possano essere preoccupate nell’assumere un farmaco che diffonde nel corpo una tossina nel caso in cui vengano morse da una zecca”.
Tuttavia – segnalano i ricercatori della Tufts University che partecipano allo studio sul nuovo farmaco – “il rischio di malattie trasmesse dalle zecche, come la malattia di Lyme e altre infezioni gravi, sta crescendo a un ritmo allarmante e le conseguenze possono essere debilitanti e di lunga durata”. Ben venga dunque un trattamento preventivo orale.
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Il cambiamento climatico «probabilmente» causerà un picco di zecche nel Regno Unito facendo aumentare i casi di malattia di Lyme. La previsione è dell’Health Security Agency (UKHSA), l’agenzia sanitaria inglese, che nei giorni scorsi ha informato la popolazione sull’alto rischio di subire un morso di zecca e di contrarre la malattia.
Stando ai dati forniti dall’UKHSA i casi di malattia di Lyme sono in sensibile crescita nell’intero territorio britannico e lo scorso anno hanno registrato un incremento di quasi il 40%.
Gli avvertimenti delle autorità sanitarie inglesi
Oltre a segnalare l’aumento della malattia di Lyme le autorità sanitarie inglesi hanno sensibilizzato la popolazione sulla possibile espansione anche dell’encefalite da zecche (Tbe), raccomandando di non sottovalutare la comparsa di febbre e di sintomi simil-influenzali nei giorni o nelle settimane successive all’asportazione di una zecca.
Hanno quindi invitato i cittadini a:
– prestare grande attenzione durante le attività all’aperto
– usare tutte le precauzioni utili a ridurre il rischio di punture.
La raccomandazione per i possessori di cani
Le autorità inglesi hanno inoltre raccomandato regolari e frequenti controlli sui cani e gli animali da compagnia.
In proposito hanno informato che il Rhipicephalus sanguineus, la nota zecca del cane, può:
– sopravvivere in ambienti chiusi, come le abitazioni, causando infestazioni domestiche
– esporre le persone a eventuali morsi anche all’interno della propria casa
– trasmettere diverse malattie, alcune delle quali molto serie (come la febbre maculosa mediterranea, la babesiosi e l’ehrlichiosi canina).
Il periodo più insidioso
Pur ricordando che le zecche possono rimanere attive tutto l’anno l’Agenzia inglese ha indicato da aprile a settembre il periodo in cui è più facile incorrere nel morso di zecca.
Ha quindi dato avvio a una intensa campagna di sensibilizzazione mettendo a disposizione dei cittadini:
– testimonianze di persone malate
– materiale informativo e approfondimenti.
L’obiettivo è promuovere una maggiore consapevolezza sui rischi e sulle malattie trasmesse dalle zecche.
Zecche da altre parti d’Europa
Le autorità britanniche hanno infine avvertito che potrebbero presentarsi nuove specie di zecche, provenienti da altre parti d’Europa.
Per il dipartimento di entomologia medica dell’UKHSA il fenomeno è legato:
– agli spostamenti della fauna selvatica
– alle migrazioni dell’avifauna
– ai viaggi e agli scambi commerciali.
Per effetto dei cambiamenti climatici le nuove specie di zecche potrebbero trovare condizioni ideali per insidiarsi e proliferare nel territorio inglese. Il fenomeno – ha sottolineato l’Agenzia sanitaria inglese – potrebbe «comparire all’improvviso» e portare nuove malattie.
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fonte immagine: @UK Lyme
L’apparizione in TV di Simona Ventura con “mezza faccia bloccata” ha acceso l’attenzione sulla paralisi del nervo facciale (paralisi di Bell). Può avere molteplici cause tra le quali c’è anche la neuroborreliosi di Lyme, trasmessa dal morso di una zecca infetta.
Essendo di origine batterica la paralisi facciale da neuroborreliosi non va trattata con cortisone e antivirali ma con antibiotici specifici e una pronta terapia rende più veloce e completo il recupero.
Lyme e paralisi facciale
Un recente studio dell’Università Carolina di Praga – pubblicato lo scorso marzo sulla rivista Ticks and Tick-borne diseases – indica che in corso di neuroborreliosi i nervi cranici sono comunemente colpiti, in particolare il nervo facciale.
I dati mostrano che su 147 pazienti con neuroborreliosi di Lyme (114 adulti e 33 bambini) in cura all’Ospedale universitario Bulovka di Praga, il coinvolgimento del nervo facciale si è verificato:
– nel 74,5% degli adulti
– nel 97% dei bambini.
Segnalano inoltre, in una minoranza di casi, la presentazione della paralisi facciale in forma bilaterale, con coinvolgimento di entrambi i lati del viso.
Gli effetti della terapia antibiotica
Lo studio dell’Università di Praga evidenzia che il 97% dei bambini ha avuto la risoluzione completa della paralisi entro 3 mesi dall’inizio della terapia antibiotica e il 78,8% entro le prime 3 settimane di trattamento.
In un unico caso la paresi del nervo facciale è rimasta persistente per 5 mesi.
Negli adulti il recupero si è rivelato più lento e la paresi si è risolta entro tre mesi nel 67,5%.
Un decorso favorevole e una rapida regressione sono stati osservati nei bambini e negli adulti con il coinvolgimento unilaterale del nervo facciale (paralisi di metà del viso).
Tbe e paralisi dei nervi cranici
I ricercatori di Praga hanno documentato il possibile coinvolgimento dei nervi cranici anche da parte dell’encefalite da zecche (Tbe), con interessamento:
– dei nervi motori oculari (III, IV, VI) nel 17,4% dei casi
– del nervo facciale nel 7,9% dei casi.
Le conseguenze paretiche della Tbe hanno comportato il ricovero in ospedale e nel 35% dei casi hanno determinato sequele persistenti per più di un anno.
La presentazione
Nella malattia di Lyme il coinvolgimento neurologico (neuroborreliosi):
– si sviluppa in circa il 15% delle persone colpite dalla malattia e non curate
– si manifesta di solito diverse settimane (o mesi) dopo la puntura di zecca.
Quando la malattia coinvolge il nervo facciale provoca:
– intorpidimento o debolezza di un lato del viso
– deviazione della bocca dal lato colpito
– difficoltà a chiudere l’occhio dello stesso lato, con eccessiva lacrimazione
– alterazione della mimica facciale, con difficoltà a sorridere o aggrottare la fronte e incapacità di fischiare.
Quando sospettare la neuroborreliosi
La neuroborreliosi va sospettata come causa della paralisi del nervo facciale quando non ha cause spiegabili e compare:
– dopo un morso di zecca
– in un’area endemica per la malattia di Lyme (nei territori dove la malattia è diffusa o segnalata si stima che oltre il 20% delle paralisi di Bell siano dovute alla malattia di Lyme).
Per confermare il sospetto diagnostico è necessario ricorrere ai test di laboratorio.
È utile ricordare inoltre che in corso di neuroborreliosi la paralisi del nervo facciale può essere bilaterale, essere preceduta dall’eritema migrante o presentarsi in associazione con segni di irritazione delle meningi, come mal di testa, dolore e rigidità cervicale.
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fonte immagine: Corriere.it
“Il sudore umano contiene una proteina con proprietà antimicrobiche, in grado di proteggere dalla malattia di Lyme”. È “una secretoglobina chiamata SCGB1D2, capace di inibire la crescita dei batteri che causano l‘infezione”.
La scoperta è del Massachusetts Institute of Technology – MIT di Cambridge (Usa) ed è frutto di un lungo lavoro di ricerca condotto in collaborazione con l’Università di Helsinki (Finlandia), le cui risultanze sono pubblicate su Nature Communicationsdel 19 marzo 2024.
L’identificazione
I ricercatori hanno isolato la proteina analizzando un database finlandese contenente:
- le sequenze del genoma di 410.000 persone, con descrizione minuziosa della loro storia medica
- informazioni dettagliate su circa 7.000 persone con diagnosi di malattia di Lyme.
Cercando un “marcatore genetico di suscettibilità alla malattia di Lyme” hanno identificato la secretoglobina SCGB1D2 e per capire il suo meccanismo d’azione hanno quindi condotto prove in laboratorio e test sui topi scoprendo il suo alto fattore protettivo.
La riprova
I risultati sono stati confermati in Estonia, utilizzando i dati di circa 210.000 persone, di cui 18.000 affette dalla malattia di Lyme.
Gli studi e i test non hanno chiarito “come la proteina inibisca la crescita dei batteri che causano la malattia di Lyme”, ma i ricercatori sono intenzionati a sfruttare le sue capacità per nuovi trattamenti di prevenzione e cura della malattia.
Le altre rivelazioni
A parere dei ricercatori circa un terzo delle persone è portatore di una variante genetica della secretoglobina SCGB1D2.
La variante non ha la stessa efficacia protettiva ed è anzi associata ad una vulnerabilità alla malattia di Lyme, essendo comunemente rilevata nelle persone colpite dalla malattia.
I programmi
La scoperta apre le porte ad un approccio del tutto nuovo per prevenire la malattia di Lyme.
In proposito il team di ricerca ha già annunciato studi clinici sul possibile uso della secretoglobina SCGB1D2 per sviluppare una crema da spalmare sulla pelle prima dell’esposizione al morso di zecca così da ottenere un effetto protettivo.
Idealmente il preparato, chiamato “Lyme Block”, dovrebbe favorire un elevato controllo del rischio di infezione, anche nell’eventualità di punture infette.
Nei programmi di ricerca vi è inoltre l’intendimento di “esplorare il potenziale della proteina come trattamento per le infezioni che non rispondono agli antibiotici”.
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fonte immagine:https://www.nbcboston.com/news/local/mit-lyme-disease-research/3322174/
È tempo di auguri e per tradizione è anche il periodo ideale per scampagnate, gite fuori porta, escursioni a contatto con la natura.
Nonostante le vacanze di Pasqua 2024 si annuncino all’insegna di un meteo instabile, con alternanza di sole, nuvole e possibili rovesci, la voglia di stare all’aria aperta si fa sentire, complici le giornate più lunghe e le temperature piacevoli.
Staccare la spina, vivere momenti di relax, sintonizzarsi sul naturale meccanismo di rinascita proprio della stagione regala sicuramente benessere, ma se in programma c’è una passeggiata, un picnic o una scampagnata nel verde, fuori e dentro le città, ricordiamoci di essere accorti e di evitare un incontro insidioso: quello con le zecche, in questo periodo particolarmente attive.
Godiamoci serenamente i giorni di festa e, meteo permettendo, scegliamo tra le tante opportunità offerte da itinerari al mare o tra laghi, colline, praterie e boschi avendo sempre cura della nostra salute.
Buona Pasqua e buone gite a tutti coloro che ci seguono online, con l’augurio che il tempo instabile non rompa (è il caso di dirlo) le uova nel paniere!
Maurizio Ruscio e i collaboratori del sito www.morsodizecca.it
fonte immagine pexels.com
In questi giorni di inizio primavera si intensificano le segnalazioni sulla presenza di zecche in montagna e nelle aree verdi di città. Accade in provincia di Bolzano (Trentino – Alto Adige), di Massa (Toscana), di Cagliari (Sardegna), ma la conferma arriva anche da numerosi post condivisi sulle pagine social dedicate alle escursioni.
Nonostante le zecche possano mordere tutto l’anno è proprio con la bella stagione che diventano più attive nella ricerca di un ospite sul quale nutrirsi, complici le condizioni ottimali di temperatura e umidità.
Le testimonianze
Fra le segnalazioni di maggior rilievo vi è il racconto di una biologa, consulente tecnico faunistico, che nei giorni scorsi si è trovata addosso 27 zecche durante una passeggiata di 4 chilometri nel parco delle Alpi Apuane (Toscana). “Controllandomi di continuo, ogni volta che abbassavo lo sguardo ne trovavo e toglievo 2 o 3″ ha dichiarato l’interessata al quotidiano online L’altraMontagna, sottolineando la necessità di essere molto attenti al problema.
Sulla stessa lunghezza d’onda il quotidiano Alto Adige che lo scorso 19 marzo ha riferito un’emergenza zecche in provincia di Bolzano “quest’anno più seria rispetto alle stagioni passate”.
Un’ANSA del 22 marzo ha informato inoltre della proliferazione di zecche in alcune zone di Cagliari, “entrate anche negli appartamenti”. Un’allerta che ha fatto scattare un intervento urgente di pulizia e disinfezione.
Il morso di zecca: perché non va sottovalutato
Di per sé il morso di zecca non è pericoloso. Lo diventa quando la zecca è infetta. In questo caso può trasmettere batteri, virus e altri agenti patogeni responsabili di infezioni serie, come la malattia di Lyme, l’encefalite da zecche, le rickettsiosi, la febbre bottonosa del Mediterraneo, l’anaplasmosi e l’ehrlichiosi oltre alla babesiosi.
Si tratta di malattie che possono diventare più gravi se non individuate in modo tempestivo.
Dove fare attenzione
Le zecche amano gli ambienti umidi ed ombreggiati con vegetazione bassa ed erba incolta.
Si trovano di frequente nelle aree boscose, in quelle di confine tra prato e bosco (soprattutto se c’è presenza d’acqua) e nei territori di passaggio della fauna selvatica.
Sono normalmente presenti nelle zone rurali e si sono adattate a vivere anche in molti spazi verdi di città (parchi urbani, giardini, aiuole).
In caso di lavoro, escursione o sosta in questi habitat è importante usare alcune semplici precauzioni:
– indossare un abbigliamento che copre quanto più possibile il corpo
– controllarsi con regolarità per individuare subito la presenza di eventuali zecche
– al rientro a casa lavarsi, ispezionare con attenzione tutto il corpoe rimuovere prontamente le eventuali zecche trovate sulla pelle.
Come si riconosce una zecca
Le zecche non sono facili da individuare perché:
– hanno dimensioni molto piccole
– possono facilmente confondersi con un neo, una irregolarità o una piccola lesione scura della pelle.
Per individuarle è necessario un controllo accurato, facendo attenzione soprattutto a piccoli rigonfiamenti e minuscoli punti neri in rilievosulla cute. Le zone più a rischio sono la testa, i polsi, l’incavo del ginocchio e, in generale, le aree dove si suda di più.
Come si toglie una zecca
Per rimuovere la zecca in modo sicuro si può utilizzare uno dei comuni estrattori disponibili in commercio o usare una pinzetta a punte sottili. In quest’ultimo caso basta afferrare la zecca il più possibile vicino alla pelle e staccarla tirando dolcemente, ma con mano ferma, senza schiacciare il suo corpo.
La zona va poi disinfettata evitando prodotti che colorano la pelle.
È assolutamente sconsigliato applicare sulla zecca una qualsiasi sostanza (alcol, benzina, acetone, trielina, ammoniaca, olio o grassi) perché potrebbe favorire un abbondante rigurgito di agenti infettivi.
Cosa fare dopo aver tolto la zecca
È utile segnare la data dell’asportazione e fare attenzione ai sintomi che si presentano nelle sei settimane successive.
Se compare febbre o si notano arrossamenti (persistenti) sulla pelle bisogna ricorrere subito al medico curante e segnalare il morso di zecca.
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fonte immagine: www.ildolomiti.it/altra-montagna
Per i ricercatori della Jhon Hopkins University di Baltimora (USA) i sintomi persistenti della malattia di Lyme post trattamento (PTLDS) potrebbero essere causati da una disfunzione del sistema nervoso autonomo, nota come disautonomia.
La tesi, contenuta in una recensione pubblicata lo scorso febbraio sulla rivista Frontiers, segnala la necessità di potenziare le ricerche in questa direzione, suggerendo che la disautonomia potrebbe rivelarsi una componente chiave delle conseguenze a lungo termine.
Cos’è la disautonomia
La disautonomia è una disregolazione del sistema nervoso autonomo, dal quale dipendono la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, la digestione, la temperatura corporea, la sudorazione e la lacrimazione.
La comparsa della disautonomia è spesso associata a infezioni causate da diversi agenti patogeni ed è indicata come responsabile di:
– stordimento,
– affaticamento grave,
– debolezza,
– dolore toracico,
– deterioramento cognitivo con significativa compromissione della qualità della vita.
L’associazione con la malattia di Lyme
È noto che la malattia di Lyme può coinvolgere il sistema nervoso (neuroborreliosi) e provocare meningite, interessamento dei nervi periferici (meningoradicoloneurite), encefalite, mielite.
Per i ricercatori americani è in grado di coinvolgere anche il sistema nervoso autonomo, nonostante tale complicanza sia documentata in un numero molto limitato di casi e non sempre utilizzando criteri rigorosi.
A sostenere l’ipotesi è la significativa sovrapposizione dei sintomi di disautonomia e malattia di Lyme post trattamento, che condividono: affaticamento, dolore muscoloscheletrico, difficoltà cognitive.
Le analogie con il long-Covid
I ricercatori della Hopkins segnalano inoltre che la disautonomia ricorre nelle sequele post acute del Covid (il cosiddetto Covid lungo o long-Covid), manifestando una serie di sintomi centrati su:
– intolleranza allo sforzo,
– livelli sproporzionati di affaticamento,
– deterioramento neurocognitivo,
– sonno non ristoratore,
– mialgia/artralgia (dolori muscolati e articolari).
Una possibile causa comune
Le molte somiglianze tra long-Covid e malattia di Lyme post trattamento portano quindi l’università di Baltimora a ritenere che la disautonomia si possa collegare a entrambe le sindromi, “sebbene siano necessarie ulteriori ricerche”, dal momento che “attualmente non esistono studi utili a dimostrare chiaramente questa associazione”.
Se tali ricerche confermeranno l’ipotesi della Hopkins University si apre la possibilità di nuovi trattamenti per i pazienti di Lyme colpiti da sintomi persistenti.
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