Un importante passo avanti nella diagnosi precoce della malattia di Lyme potrebbe arrivare da un nuovo test sierologico, in grado di rilevare l’infezione in fase iniziale, quando gli attuali test sono spesso negativi.

La metodica, sviluppata dall’azienda statunitense Kephera Diagnostics in collaborazione con il New York Medical College e la Lyme Disease Biobank, è stata descritta in uno studio pubblicato il 20 agosto 2025 sul Journal of Clinical Microbiology, rivista dell’American Society for Microbiology.

Un approccio innovativo

Il test, denominato Hybrid Lyme ELISA, ha dimostrato di rilevare titoli anticorpali relativamente bassi già all’inizio dell’infezione, grazie a un approccio innovativo.

Sfruttando la capacità degli anticorpi presenti nel siero di legarsi contemporaneamente a due antigeni correlati (VlsE e C6), riesce a identificare l’infezione in fase iniziale con un esame “single-tier” (a singolo livello). Questo permette di ottenere in un unico passaggio un’elevata sensibilità (capacità di individuare l’infezione) e una notevole specificità (capacità di confermare l’assenza della stessa).

Il superamento del protocollo tradizionale

Attualmente la diagnosi sierologica della malattia di Lyme segue un approccio a due livelli, che comprende l’esecuzione di:

1. un Test di screening (ELISA) per rilevare anticorpi specifici (IgM e IgG) contro la Borrelia (agente della malattia)

  • IgM: compaiono dopo alcune settimane dall’infezione.
  • IgG: emergono più tardi (settimane o mesi dopo) e persistono a lungo, anche dopo che l’infezione si è risolta.

2. un Test di conferma (immunoblot), eseguito in caso di positività o esito dubbio del test di screening, per documentare la presenza e la specificità degli anticorpi anti-Borrelia.

La procedura è complessa e lunga, poiché richiede di attendere i tempi di maturazione della reazione anticorpale. Se viene effettuata troppo presto può dare infatti falsi negativi.

Il nuovo test single-tier ha mostrato di poter semplificare il percorso diagnostico: nelle prove sperimentali ha raggiunto infatti una sensibilità del 94% nei pazienti con Lyme iniziale (eritema migrante), contro il 76% dei metodi tradizionali.

Possibili sviluppi

Se confermato da studi più ampi, l’Hybrid Lyme ELISA potrebbe introdurre un nuovo standard nella pratica clinica, consentendo una diagnosi più rapida e accurata nella malattia di Lyme iniziale.

Tra i suoi punti di forza vi è la compatibilità sia con procedure manuali, sia con sistemi automatizzati, per facilitare l’adozione del test nei laboratori diagnostici.

Un cauto ottimismo

Nonostante i dati incoraggianti, gli sviluppatori sottolineano alcune limitazioni:

In conclusione, l’Hybrid Lyme ELISA non è ancora pronto a sostituire i protocolli diagnostici esistenti, ma rappresenta un promettente complemento in attesa di ulteriori conferme cliniche.

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Scoperto uno dei possibili meccanismi di resistenza della Borrelia agli antibiotici

Una scoperta scientifica recente getta nuova luce sulla persistenza della malattia di Lyme nonostante le terapie antibiotiche. Studi coordinati dall’Istituto Dermatologico San Gallicano IRCCS di Roma, pubblicati su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, hanno identificato un meccanismo chiave di resistenza: la capacità dei batteri Borrelia di formare biofilm, strutture protettive in grado di ridurre l’efficacia degli antibiotici convenzionali.

Cos’è il biofilm? Lo scudo invisibile delle Borrelie

I biofilm sono strutture batteriche complesse composte da polisaccaridi, proteine e acidi nucleici. Queste strutture agiscono come vere e proprie barriere fisiche e chimiche: proteggono le Borrelie, riducendo la penetrazione degli antibiotici e ostacolando l’azione del sistema immunitario.

Studi in vitro hanno dimostrato che, quando i batteri di Borrelia formano biofilm – compresi i batteri Borrelia afzelii e Borrelia garinii principali responsabili della malattia di Lyme in Europa – i farmaci utilizzati comunemente come ceftriaxone e doxiciclina riducono la propria efficacia.

Perché la malattia di Lyme può diventare cronica o resistente?

La formazione di biofilm spiega perché alcuni pazienti continuano a manifestare sintomi persistenti anche dopo il trattamento antibiotico. Il biofilm protegge la Borrelia dalla distruzione, permettendo al batterio di sopravvivere e di eludere le terapie.

Questo fenomeno ha un impatto diretto sulla persistenza della malattia e sulla gestione clinica delle forme croniche o persistenti.

Nuove prospettive terapeutiche e ricerca in corso

Le nuove scoperte, frutto del progetto BABEL finanziato dall’Associazione Lyme Italia e Coinfezioni, aprono la strada a una strategia innovativa: le ricerche puntano su terapie in grado di “rompere” il biofilm per rendere la Borrelia vulnerabile agli antibiotici.

Nuovi composti chimici sono al vaglio per migliorare l’efficacia delle cure, soprattutto nelle forme persistenti della Lyme.

La collaborazione tra ricerca scientifica e associazioni di pazienti resta fondamentale per accelerare i progressi in questa direzione e arrivare a terapie più efficaci e personalizzate.

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