Entrambe le ricerche fanno parte della Lyme Disease Initiative, il programma che si propone di sradicare la malattia di Lyme entro il 2030 con rilevanti investimenti pubblici e privati.
Un test innovativo
Per favorire il riconoscimento precoce della malattia di Lyme, mostrare quando le persone sono guarite da un’infezione iniziale e diagnosticare la reinfezione gli scienziati della Tufs hanno messo a punto un test che sarà verificato su ampio campione di pazienti.
A giudizio degli sviluppatori il test è in grado di rilevare una particolare tipologia di anticorpi che le persone ammalate producono contro una sostanza – il fosfolipide - che i batteri di Lyme acquisiscono dall'ospite per crescere e moltiplicarsi.
Diversamente dagli anticorpi evidenziati con i test tradizionali, che si producono lentamente e perdurano nel tempo, gli anticorpi anti-fosfolipidi hanno dimostrato di svilupparsi rapidamente e di scomparire altrettanto rapidamente dopo un efficace trattamento antibiotico.
Di conseguenza i ricercatori ritengono che il test possa:
- consentire una diagnosi rapida
- monitorare l’effetto delle cure
- identificare i pazienti che sono stati reinfettati.
Se le prove avranno successo è ipotizzabile lo sviluppo di unaversione commerciale del test entro un paio d’anni.
Nel frattempo il team di ricerca studierà se «esistono specifici anticorpi fosfolipidici che sono marcatori della malattia di Lyme persistente».
Gli studi sul sistema immunitario
Il secondo filone di ricerca riguarda il sistema immunitario e prevede lo sviluppo di uno studio intrapreso dall’Università di Lubiana (Slo), pubblicato lo scorso maggio sulla rivista Emerging Infectious Diseases,
Il team sloveno ha rilevato livelli eccezionalmente elevati di un marcatore del sistema immunitario, chiamato interferone-alfa, in persone curate per la malattia di Lyme e con sintomi persistenti.
In collaborazione con la Tufs University, la ricerca sarà estesa a diverse centinaia di pazienti, per verificare:
- se alti livelli di interferone-alfa sono una costante nei casi di sintomi di lunga durata dopo il trattamento della malattia di Lyme
- cosa innesca l’anomalia immunitaria
- se l’età, o un fattore genetico, aumentano il rischio di sintomi persistenti di Lyme.
In caso di successo, la ricerca – a cui partecipano anche l’università dell'Illinois, l'università dell'Utah e la Johns Hopkins University - potrebbe consentire nuovi strumenti di screening per identificare i soggetti a rischio di sintomi persistenti dopo la malattia di Lyme e aprire la strada a nuovi trattamenti, come le terapie anti-interferone alfa.
Le ricadute
I risultati delle due ricerche potranno spiegare alcuni degli aspetti più controversi della malattia di Lyme:
- perché alcune persone sviluppano sintomi di lungo periodo nonostante un trattamento corretto
- quando attribuire tali sintomi alla Lyme o ad altra causa.
È ipotizzabile che l’avanzamento delle conoscenze produca risultati utili anche per altre malattie associate a disturbi persistenti, come il long-Covid.
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fonte immagine: Erik Karits, www.pexels.com